Il mondo è davvero diventato più responsabile?

Il mondo degli investimenti è sempre stato caratterizzato da mode passeggere. In alcuni casi si è trattato di veri e propri flop destinati ad avere una vita brevissima, in altri hanno cambiato così profondamente il modo di pensare degli operatori da diventare argomento di dibattito quotidiano.

Indipendentemente da come andrà il secondo semestre, il 2019 passerà alla storia come l’anno in cui gli investimenti “socialmente responsabili” sono letteralmente esplosi. Prodotti finanziari attenti a queste tematiche sono presenti da tempo nell’universo di soluzioni a disposizione degli investitori. D’altro canto, sono anni che sentiamo parlare dello scioglimento dei ghiacciai o dei danni di fumo e alcol sulla salute. Lo sfruttamento di lavoratori in aree geografiche dove le tutele sono inferiori non è certo un tema recente, come la scarsa presenza di donne nei ruoli più importanti della governance aziendale.

Sarà merito di Greta e dell’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco, sarà che ci siamo finalmente decisi ad associare l’aumento di catastrofi naturali all’incremento di CO2 nell’aria, oppure hanno fatto particolarmente presa sull’opinione pubblica quei servizi sulla presenza di plastica nei mari che ha raggiunto livelli così spropositati da formare zattere grandi come nazioni che vagano negli oceani? Difficile individuare una singola causa ma all’elenco appena fatto devono senz’altro essere aggiunti due fattori. Da un lato l’incredibile assenza di opportunità che caratterizza i mercati e che spinge gli operatori a percorrere ogni strada pur di stimolare i propri clienti, dall’altro le ricerche che dimostrano che rispettare principi ESG (Environmental, Social and Governance) non significa affatto rinunciare ai rendimenti. La legge di domanda e offerta ha fatto il resto: più un tema viene comprato, più genera interesse, maggiori le probabilità che gli acquisti continuino facendo lievitare i prezzi.

Gli investimenti socialmente responsabili hanno moltissime sfaccettature sia per la diversità degli argomenti coinvolti sia perché, sull’onda del successo commerciale che stanno riscontrando queste soluzioni, molti data provider hanno creato classificazioni e categorizzazioni proprie che differiscono le une dalle altre ed ognuna promette di essere migliore dell’altra. Le società vengono suddivise e valutate non solo sulla base della loro capitalizzazione e dell’origine dei loro proventi ma anche in funzione della sostenibilità ambientale e sociale degli stessi.

Prendendo in esame l’indice MSCI World SRI e confrontandolo con il tradizionale MSCI World ciò che colpisce maggiormente non sono i cinque basis ponit in più di performance annualizzata realizzati dall’indice social responsable negli ultimi 10 anni né i 19 basis point in meno di volatilità annualizzata, ma la sua composizione, ed in particolare i primi 10 costituenti.

Indice MSCI World SRI (fonte MSCI)

Delle cinque società tecnologiche americane più capitalizzate, solo Microsoft supera le maglie del filtro SRI. Apple, Amazon, Facebook e Google che nell’indice tradizionale hanno un peso complessivo di quasi il 7% spariscono nell’indice MSCI World SRI. Nonostante questo, il settore “information technology” rimane quello più importante con un 17% del totale. Gli Stati Uniti passano dal 62,5% al 59,5% mentre subisce un forte ridimensionamento il Regno Unito, che non compare più nell’elenco dei primi 5 paesi a cui l’indice è maggiormente esposto. Pur rimanendo un indice molto diversificato, l’MSCI World SRI ha un numero di costituenti decisamente inferiore: 390 contro i 1.654 dell’indice MSCI World.

Si tratta di aziende che non hanno come missione quella di salvare il pianeta dai danni creati in passato, ma che sono risultate capaci di generare profitti in modo più sostenibile. Questo purtroppo non è sufficiente a renderle immuni dalla volatilità e da un possibile crollo dei mercati. La naturale evoluzione di crescita e contrazione del ciclo economico infatti ha effetto anche sulle aziende che rispettano i principi SRI. Questa considerazione non è fatta per scoraggiare i risparmiatori che volessero acquistare questo tipo di soluzioni, ma per ricordare che il processo di investimento deve necessariamente partire da un’imprescindibile pianificazione che prenda in considerazione esigenze, obiettivi e strategie per raggiungerli.

Solo individuando prima l’asset allocation ideale e poi implementandola prediligendo strumenti SRI si può evitare che di fronte alle avversità si abbandonino questi investimenti archiviandoli come l’ennesima moda finita male.