“È colpa del mercato!”. Il leitmotiv che ricorre nelle reazioni allo stop dell’esperienza del governo Conte non poteva che essere questo. Non poteva non esserlo, dopo che nel suo discorso di ieri il presidente Sergio Mattarella ha fatto esplicito riferimento ai pericoli che i mercati finanziari avrebbero visto nel dare vita a un esecutivo con un ministro dell’Economia dichiaratamente anti-euro.
È però il caso di interrogarsi sulla natura di questi mercati finanziari. Sono forse un’entità misteriosa che cerca di orientare i destini del mondo a proprio piacimento dal buio di segrete stanze? Sicuramente per molte persone lo sono diventati. La verità però è che il mercato è l’unione di milioni di risparmiatori, anche italiani, e di migliaia di fondi di investimento che devono la loro grandezza alla gestione dei risparmi dei cittadini di tutto il mondo. E che hanno quindi tutto l’interesse a investire in economie nazionali che funzionano, che sono efficienti e nelle quali il grado di incertezza è ridotto al minimo. Se così non è, non fanno altro che spostare i loro capitali laddove possono avere un rendimento migliore (o, almeno, in qualche modo più certo). Allo stesso modo, un’economia può crescere solo se è in grado di attirare e di mantenere all’interno dei suoi confini questi capitali, che siano esteri o nazionali.
Dei mercati fanno dunque parte anche i milioni di italiani che nel loro portafoglio di attività finanziarie hanno Btp, altri titoli di Stato o le azioni delle principali società italiane. Sicuramente anche tanti elettori di Lega e Movimento 5 Stelle, perché hanno in portafoglio questi titoli o perché li detengono indirettamente tramite nonne, zie o altri parenti. I numeri danno una buona idea di quanto diffusa sia questa ricchezza: secondo le più recenti statistiche di Bankitalia (relative al terzo trimestre del 2017) le famiglie italiane detengono 120,5 miliardi di titoli di Stato a medio e lungo termine (come i Btp) e 1,6 miliardi di titoli di Stato a tasso variabile (Cct). Altri 1.000 miliardi sono investiti in assicurazioni, oltre 500 miliardi in fondi comuni, 200 miliardi in titoli obbligazionari diversi dai titoli di Stato. A quanti di questi elettori non è stato fatto un buon servizio?
C’è un passaggio nel discorso di Mattarella di ieri sera che forse non è stato sottolineato abbastanza: mettere in discussione la presenza dell’Italia nell’euro non faceva parte del programma né della Lega né del M5S. Quello per il quale entrambe le formazioni hanno raccolto il favore della maggioranza (relativa) degli italiani. La scelta insindacabile dell’economista Paolo Savona portava implicitamente in una direzione diversa: a quanti elettori della Lega questo sarebbe andato bene? Sicuramente non agli imprenditori, piccoli o grandi che siano, consapevoli che un’uscita dell’euro – come chiarito da Bce e Ue – coinciderebbe anche con l’uscita dall’Unione economica europea, il principale mercato di sbocco delle aziende del nord Italia. E sicuramente non a chi negli anni è riuscito a mettere da parte un gruzzoletto di risparmi, perché lo spread è la patrimoniale che colpisce chi un patrimonio (nel vero senso del termine) non ce l’ha, e si troverebbe a pagare di più le rate del mutuo o per gli interessi su qualsiasi prestito.
Per non parlare dell’idea di cancellare titoli del Tesoro per 250 miliardi in mano alla Bce: in quanti l’avrebbero letta come una latente possibilità che, dopo averlo fatto una volta, un giorno o l’altro lo Stato si sarebbe svegliato con l’idea di cancellare anche i suoi debiti verso i risparmiatori italiani? È davvero questo quello per cui tanti italiani hanno votato i due partiti usciti vincitori dalle urne? Sarebbe davvero un peccato se la lecita richiesta di cambiamento, dopo i tanti errori che la politica ha commesso in decenni, venisse confusa per una cambiale in bianco con la quale non fare gli interessi di milioni di persone.
Articolo del 28/5/2018, tratto da Forbes.it
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