Nella narrativa corrente, il controverso presidente degli Stati Uniti passa per un nemico del commercio internazionale. Smantellatore di consuetudini e istituzioni radicate, per via delle minacce verbali a cui quasi mai è seguito atto concreto. Basti pensare che le misure finora approvate ed operative riguardano importazioni per 50 miliardi di dollari, e produrrebbero maggiori dazi per 12 miliardi e mezzo: lo 0.15% del PIL americano, lo 0.03% del PIL mondiale. Di questo passo, chissà dove finiremo…
Battute a parte, poiché il mercato ne sa sempre più di tutti, per capire se davvero la paventata guerra commerciale sia concreta minaccia o “fuffa”, è sufficiente dare un’occhiata agli Stati tradizionalmente più orientati al commercio internazionale: Corea del Sud, Taiwan, Canada, Messico e Svizzera. Se l’economia e i mercati fossero realmente impensieriti dal gelido vento del protezionismo, questi mercati dovrebbero cadere liberamente, giusto?
Cosa vediamo?
É possibile che, da quando Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti, l’indice degli esportatori mondiali ha conosciuto una vistosa crescita, perlomeno fino a quando dalle parole si è passati ai (timidi) fatti con l’approvazione definitiva di maggiori dazi su pannelli solari e lavatrici. A quel punto, l’indice in esame ha assunto un andamento pigro, tendenzialmente discendente. È come se sentisse il bisogno di una rigenerante sculacciata…
Magari però il diavolo (con il ciuffo rosso) si nasconde nei dettagli. Probabilmente in termini assoluti le nazioni esportatrici crescono, ma perdono terreno rispetto al resto del mondo. La figura sottostante, in quest’ottica, rapporta l’indice delle nazioni esportatrici al MSCI ACWI all’indice delle principali Borse mondiali.
È abbastanza divertente: le Borse riconducibili alle nazioni tradizionalmente esportatrici hanno sottoperformato subito dopo l’elezione di Trump fino al licenziamento dei primi provvedimenti restrittivi. Insomma, il quadro non è pacifico (naturale, trattandosi di “guerra”, seppur commerciale…).
Si può concludere che la notizia della morte della globalizzazione è stata fortemente esagerata. E, magari, finirà che gli Stati più minacciati, saranno quelli che d’ora innanzi sovraperformeranno il resto del mondo…