Wile E. Coyote andrebbe usato per spiegare Schopenhauer e la sua visione della volontà come forza cosmica cieca, irrazionale e insensata che controlla e determina le azioni degli individui viventi e di tutto l’universo. Il povero animale è vittima di una coazione a ripetere che lo costringe a una serie infinita di tentativi di catturare e mangiare l’uccello Roadrunner Beep Beep. I tentativi sono via via più audaci e sofisticati e si avvalgono della tecnologia (sempre difettosa) della misteriosa Acme Corporation ma finiscono ogni volta tragicamente, con Beep Beep illeso e il coyote che esplode o precipita nel canyon profondissimo, salvo rialzarsi prontamente e, schopenhauerianamente, riprendere con accanimento freddo, cieco e disperato la sua caccia perfettamente inutile. Il coyote è ancora più tragico di Sisifo (che almeno è punito dagli dei per il suo eccesso di astuzia e di hybris) perché è innocente. E non è affatto stupido, ma usa la sua intelligenza solo per andare incontro al suo destino, mai per liberarsene e diventare, per esempio, vegetariano.
Nelle scorse settimane l’ex governatore Bernanke ha dichiarato che nel 2020 l’economia americana andrà incontro a un momento alla Wile E. Coyote, riferendosi al povero animale che, durante i suoi furiosi inseguimenti, esce puntualmente dalla strada che si inerpica lungo la roccia, continua a correre orizzontalmente nel vuoto per qualche momento, guarda giù, capisce tutto, guarda lo spettatore con lo sguardo più triste che si possa immaginare e infine precipita nel canyon. Bernanke stima che l’effetto positivo dei tagli fiscali americani si esaurirà bruscamente due anni dopo la loro introduzione nel gennaio scorso e che il tasso di crescita degli Stati Uniti, in questo momento vicino al 4 per cento, scenderà verso lo zero almeno per qualche mese. Bernanke è in fondo generoso nel concederci ancora un anno e mezzo di grazia. Non sono pochi, infatti, gli economisti che ritengono possibile un marcato rallentamento, se non addirittura una recessione, già nel 2019.
Le cause? Qualcuno le vede nell’economia reale, che cederà sotto i colpi dei rialzi lenti ma costanti della Fed, tanto più dolorosi, a un certo punto, in quanto coincidenti con il venir meno degli effetti del taglio delle tasse. Per altri la scivolata partirà invece dalle borse, schiacciate dalla contrazione dei multipli provocata dal rialzo dei tassi. Il ribasso azionario, a quel punto, toglierà al pubblico la voglia di consumare e alle imprese quella di assumere e investire. Il tutto in un contesto altamente imprevedibile (dazi, Italia, rallentamento cinese e svalutazione del renminbi) che potrebbe avvicinare il precipitare della crisi. A quel punto Wile E. Coyote verrebbe evocato per raccontare un problema ancora più serio e strutturale, la coazione a ripetere su scala sempre più grande la sequenza recessione, crollo degli asset finanziari, iperespansione monetaria (con il kit degli attrezzi fornito dalle banche centrali che si celano dietro la Acme Corporation), tassi reali negativi per aiutare i debitori a rimanere in vita, rigonfiamento e bolla degli asset finanziari determinati dai tassi negativi fino al crash successivo.
Il tutto usando la nostra intelligenza, come il coyote, per trovare nuovi metodi sempre più aggressivi e sofisticati per rimetterci in piedi (la prossima volta abolizione del contante e helicopter money) ma mai trovando il sistema per evitare di ricadere nel canyon dopo qualche tempo. Sono tre cicli che andiamo avanti così, ogni volta con i tassi più bassi, la moneta più abbondante e il livello degli asset sempre più alto. Solo che a ogni ciclo cresce anche il debito in rapporto al Pil. Come ricorda John Mauldin, in dollari a valore costanti il debito globale (stati, banche, imprese, famiglie) era secondo McKinsey di 87 trilioni nel 2000, di 142 nel 2007 ed è oggi calcolabile in circa 250 trilioni, tre volte il Pil globale. Se poi calcoliamo le passività potenziali degli stati (le prestazioni previdenziali e sanitarie promesse) e le attualizziamo arriviamo, secondo Laurence Kotlikoff, a 10 volte il Pil, ovvero al mille per cento (in tutte queste classifiche l’Italia è sempre a metà strada). Per questo alcuni ipotizzano, già per il prossimo decennio, una crisi del debito molto difficile da gestire. Ma ogni giorno ha la sua croce e non è il caso di fasciarci la testa fin da ora per problemi che non arriveranno subito.
Nessuna recessione è alle viste, dichiara Larry Kudlow, capo dei consiglieri economici della Casa Bianca. Puntiamo a una crescita molto alta, aggiunge, e non siamo preoccupati per l’inflazione. Quanto ai dazi, Kudlow non esclude un accordo con l’Europa basato su un abbassamento, non su un rialzo, di alcune tariffe. Resta aperto il contenzioso con la Cina, che fa pochi passi avanti e rischia seriamente di provocare rialzi magari temporanei, ma generalizzati, dei dazi. E poi c’è la Fed che, con il trumpiano Powell al comando, cerca di farsi notare il meno possibile e di non disturbare troppo crescita e mercati.
Insomma, prestiamo attenzione all’infittirsi di previsioni di rallentamento per il 2019-20, non facciamoci trovare a metà 2019 con portafogli stracarichi di azioni e di rischi di credito e cominciamo a preferire i rischi di duration sui titoli sicuri ai rischi di credito sui titoli meno sicuri ancorché relativamente brevi. Ma teniamo anche conto del fatto che, dopo due recessioni non previste da quasi nessuno (Bernanke compreso), ora c’è la corsa a portarsi avanti a prevedere la prossima, anche per potere poi dire che lo si era detto. Come si è sbagliato prima, così si potrebbe sbagliare anche questa volta. Il ciclo potrebbe certamente avere uno o due trimestri di crescita vicina a zero nel corso dei prossimi due anni e questo verrebbe certamente accompagnato da una caduta del 15-20 per cento delle borse e da un recupero dei bond sicuri, ma niente fa pensare, al momento, che avremmo una replica del 2008.
E non dimentichiamo che, proprio per il 2020, l’amministrazione Trump sta studiando, come ha ricordato Kudlow, nuovi tagli delle tasse, questa volta per le persone fisiche e, in più, permanenti. Nel breve, quindi, non c’è ragione per non restare ragionevolmente investiti in borsa e non approfittare della crescita degli utili societari, spettacolare in America e buona in Europa.
A cura di Alessandro Fugnoli, Kairos