I paesi emergenti navigano in acque agitate. Dopo un paio d’anni molto positivi, i mercati azionari dei paesi in via di sviluppo stanno soffrendo alcune debolezze strutturali, nonché le tensioni commerciali globali. L’indice Morningstar Emerging Markets NR ha perso nell’ultimo mese l’1,6% (in euro al 27 agosto).
Molti di questi paesi sono soggetti non solo a una maggiore volatilità causata dai timori legati alla normalizzazione delle politiche monetarie americane, ma anche ai rischi specifici locali a causa degli appuntamenti elettorali che in alcune nazioni quest’anno hanno inciso e incideranno sulla volatilità regionale. Insomma, sembra terminato il periodo in cui i mercati emergenti tendevano a muoversi complessivamente all’unisono e in cui l’importanza delle posizioni nei singoli titoli era ridotta.
Evoluzione degli indici azionari Morningstar relativi a Brasile, Russia, Cina, Turchia ed Emerging Markets a un anno
Dati in euro al 27 agosto 2018
Fonte: Morningstar Direct
Cose turche
La Turchia è il paese che in questo momento preoccupa maggiormente. Venerdì 17 agosto, Moody’s ha declassato il rating sovrano portandolo da B2 a Ba3 -, mentre S&P Global Ratings l’ha portato da BB a B+. Queste decisioni sono state prese alla fine di un’estate molto calda per Ankara. Dall’ultima riunione del comitato di politica monetaria che si è tenuta il 24 luglio, quando la banca centrale ha deluso i mercati mantenendo invariati i tassi di interesse (a fronte di un rialzo atteso di 100 pb), la lira turca ha perso circa il 20% nei confronti del dollaro.
“Nel complesso, l’intero universo delle valute emergenti ha sofferto insieme alla lira turca, ma non in maniera indiscriminata”, si legge in una recente nota a cura del team di ricerca e analisi di Amundi. “I paesi più vulnerabili come l’Argentina e il Sudafrica sono stati quelli più puniti dal mercato. In futuro ci attendiamo per la Turchia un rallentamento dell’economia o addirittura una recessione per motivi politici, con una contrazione del Pil nel secondo semestre del 2018. Le politiche economiche si stanno inasprendo, a partire da quella monetaria, a cui farà seguito anche quella fiscale. L’inflazione su base annua dovrebbe superare il 20%”.
Messico e Brasile
In America Latina, invece, a tenere banco è il rischio politico. La vittoria di Andrés Manuel López Obrador in occasione delle elezioni messicane di luglio alimenta in alcuni investitori delle preoccupazioni circa gli effetti delle sue politiche economiche sul comparto aziendale del paese. Ad esse si aggiungono i timori attuali sull’andamento delle trattative con gli Stati Uniti e il Canada per rivedere l’Accordo nordamericano per il libero scambio.
Nel prossimo mese di ottobre, invece, si terranno elezioni in Brasile. Chiunque venga eletto alla carica di presidente dovrà affrontare il deficit fiscale nazionale se intende mantenere la stabilità macroeconomica, approvando necessariamente un esauriente disegno di legge di riforma delle pensioni. “Nutriamo un maggiore ottimismo circa il debito brasiliano, attualmente scontato dai mercati, e riteniamo che verso il Brasile gli investitori abbiano timori esagerati”, afferma Ernest Yeung, gestore del fondo T. Rowe Price Emerging Markets Value Equity, in una nota.
Cina e guerre commerciali
La banca centrale cinese ha allentato la politica monetaria e la congiuntura è stata leggermente più solida del previsto nella prima metà dell’anno. Gli sforzi per arginare il sistema bancario ombra e la corruzione e per limitare la crescita del credito dovrebbero, tuttavia, continuare in linea di principio e penalizzare l’economia nei prossimi trimestri. “Questo, a sua volta, avrà un impatto negativo sulla maggior parte dei paesi emergenti. A ciò si aggiunge uno yuan nettamente più debole che mette sotto pressione anche le altre valute dei mercati emergenti, specialmente quelle asiatiche. Attualmente sembra che Pechino ritenga la sua valuta l‘arma più forte nel conflitto commerciale con gli Stati Uniti”, si legge in un’analisi di Raiffeisen Capital Management.
“La continua svalutazione dello yuan avrebbe effetti collaterali negativi anche per l’economia cinese, ma tra le molte cattive opzioni potrebbe essere ancora la migliore. Pechino probabilmente conta di riuscire a limitare un’eventuale fuga di capitali meglio e più velocemente di tre anni fa”, prosegue la nota. L’indebolimento dello yuan e di altre valute dei mercati emergenti significherebbe, in compenso, pressione al rialzo per il dollaro, il che rappresenterebbe un altro fattore che potrebbe pesare sulle azioni e obbligazioni dei paesi emergenti.
Interessante notare come le ricerche su Google relative ai dazi e alle guerre commerciali siamo esplose negli ultimi mesi, sintomo di quanto queste tematiche preoccupino gli investitori.
Una medaglia d’oro per gli emergenti
Gli investitori devono ragionare sul lungo periodo (è una regola generale, ma ancora più valida per i mercati in via di sviluppo) ed essere consapevoli che in un tale contesto la qualità della gestione è fondamentale. Grazie al suo approccio relativamente conservativo, secondo la ricerca Morningstar uno dei fondi più interessanti disponibili agli investitori italiani tra gli azionari mercati emergenti globali è il Capital Group New World Fund (Analyst Rating pari a Gold, Morningstar Rating di cinque stelle).
“Il team di gestione (composto da una decina di manager) punta a cavalcare la crescita dei mercati emergenti adottando un approccio che si concentra sui ricavi delle società”, spiega Mathieu Caquineau, analista di Morningstar in un report del 6 marzo 2018. “A settembre 2017 l’esposizione ad azioni dei mercati emergenti (inclusi Corea del Sud e Taiwan) era del 52%, ma guardando ai ricavi delle società inserite in portafoglio, il 61% del fatturato complessivo è stato generato nei paesi in via di sviluppo”. Questo dimostra uno dei suoi punti di forza: sovraperforma quando i mercati emergenti soffrono. Nella fase ribassista del 2015-16, ad esempio, la perdita del 21% è stata molto inferiore al -34,1% dell’indice. Va però ricordato che il fondo non va altrettanto bene nei periodi di forte rialzo dei mercati emergenti, come nel 2017, quando con il +31,2% è rimasto indietro rispetto al +37,3% dell’indice e al +37% dei fondi omologhi. Clicca qui per leggere l’analisi completa.