Wall Street avanti piano, ma avanti in scia alle nuove dichiarazioni Trump in merito al possibile accordo con Pechino per evitare ulteriori dazi commerciali. E l’Europa che, arrancando, prova a recuperare almeno un po’ del terreno lasciato sul campo negli ultimi mesi (ormai però sarebbe il caso di dire anni) dopo le ennesime rassicurazioni di Draghi che servono ancora degli stimoli per raggiungere gli obiettivi sul rialzo dell’inflazione, prevista all’1,7% contro un target del 2 per cento.
In questo scenario, il dollaro ha perso terreno, benchè poco, rispetto all’euro innescando un tentativo di inversione rialzista delle materie prime, ancora però tutta da confermare, a partire da oro e petrolio.
Come comportarsi? Un metodo, semplice ma che spesso si rivelato efficace in ottica di medio termine, è (almeno sull’azionario) quello di osservare i multipli sottostanti ai principali indici. Che attualmente mostrano come i panieri più convenienti siano quelli del Vecchio Continente. Italia compresa, dove l’indice Ftse Mib evidenzia un rapporto tra prezzo e utili (P/E) stimato dal consensus Bloomberg limitato a poco più di 12, contro un valore di oltre 15 dell’Euro Stoxx 50, di oltre il 20 dell’S&P 500 e di più di 16 del Nikkei 225. Senza poi contare il redimento del dividendo atteso (sempre in base al consesus rilevato da Bloomberg), dove il benchmark di Piazza Affari brilla con dividend yield del 3,8%, inferiore in Europa solo a quello dell’Ibex e superiore all’1,8% dell’S&P 500 e del Nikkei 225.
Attenzione però: di per se stessi questi valori, benchè alletanti, non sono certo sufficienti ad attirare gli investitori (specie nel breve periodo), più attenti, a ragione o a torto lo si scoprirà solo in futuro, alle vicissitudini politiche che ai risultati societari e alle politiche di dividendo dei management delle diverse aziende.