L’Italia è in recessione tecnica (si verifica quando il Prodotto interno lordo segna due trimestri consecutivi di crescita negativa). E il 2019 è cominciato con una pioggia di revisioni al ribasso delle stime economiche per i prossimi mesi. Di conseguenza, lo spread tra i BTp e i titoli di Stato di pari durata tedeschi è tornato a salire, arrivando a 290 punti dopo le previsioni più pessimistiche della Commissione europea per la congiuntura del Belpaese.
Questo stillicidio di dati può far perdere l’orientamento agli investitori, che, per compiere scelte di investimento, necessitano di una visione di più ampio respiro. Per porre la questione in prospettiva, possiamo usare le tre “P”: politica monetaria, fiscale ed economica.
La politica monetaria
La prima, che fa capo alla Banca centrale europea, ha come obiettivo primario la stabilità dei prezzi, definita da un tasso di inflazione prossimo al 2% nel medio periodo. Gli ultimi dati congiunturali, tuttavia, mostrano un rallentamento della crescita, tanto che l’istituto di Francoforte ha espresso preoccupazione per “gli accresciuti rischi al ribasso” e una lontananza da questo target. Gli occhi sono puntati sulla riunione del 7 marzo, durante la quale potrebbe essere annunciato un terzo TLTRO, operazione di finanziamento mirata a lungo termine. “Sarebbe di aiuto al sistema bancario, garantendo liquidità e finanziamenti a un costo ragionevole ed evitando il restringimento delle condizioni di credito”, spiega Fabrizio Fiorini, responsabile degli investimenti di Pramerica Sgr. “Di questo aspetto favorevole, potrebbero beneficiare in particolare le banche dei Paesi con il costo di finanziamento più alto, come quelle italiane”.
Le politiche monetarie hanno avuto un ruolo centrale negli anni dopo la crisi finanziaria (dal 2008 in poi), ma per il futuro si prospetta una funzione, che Fiorini definisce “di accompagnamento” delle politiche fiscali che sono sempre più determinanti nello stabilire le “regole del gioco”, non solo in Italia, ma in tutta l’area euro.
Le politiche fiscali
“L’incertezza sulla politica di bilancio non si è dissipata”, ha detto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco durante il Congresso Assiom Forex a Roma, lo scorso 2 febbraio. “L’accordo con la Commissione è stato raggiunto per il 2019, ma per il 2020-21 restano da definire numerosi aspetti e, specialmente, il futuro delle cosiddette clausole di salvaguardia, il cui importo è stato portato all’1,2% del prodotto interno lordo nel 2020 e all’1,5% nel 2021. Se fossero disattivate senza prevedere misure compensative, il disavanzo si collocherebbe intorno al 3% del Pil per entrambi gli anni”. Secondo Visco, affinché ci sia un effettivo sostegno all’attività economica, la politica fiscale deve “preservare la fiducia nel percorso di riequilibrio dei conti pubblici e nella prospettiva di riduzione del rapporto tra debito e prodotto”.
Lo spread e le banche
Se, per il momento, l’ipotesi di una pesante recessione appare remota, l’Italia rimane un’osservata speciale, come mostra la volatilità dello spread. Il differenziale con i titoli tedeschi corrispondenti è sceso rispetto al picco di novembre, ma resta elevato a confronto con i valori medi di inizio 2018. “I recenti movimenti indicano che per molti il Belpaese è una delle prime aree geografiche da cui ritirarsi in caso di un aumento dell’avversione al rischio sui mercati”, si legge in una nota di Moneyfarm. E’ un aspetto che non va sottovalutato da chi amministra i conti pubblici, dal momento che l’ammontare di titoli di Stato da collocare annualmente continua a essere ingente. Secondo Banca d’Italia, si tratta di quasi 340 miliardi per il solo rinnovo delle emissioni in scadenza nel 2019, che si sommano ai circa 50 previsti a copertura del disavanzo.
Intanto, le banche sono tornate a comprare i titoli governativi italiani, dopo che a fine 2017 l’esposizione aveva toccato un minimo di 280 miliardi. “Alla fine di novembre, il valore era pari a 330 miliardi, poco meno del 10% del totale delle attività”, ha detto Visco. Il dato è comunque inferiore al picco di 400 miliardi di inizio 2015. Come ha spiegato il governatore, da un lato questi investimenti contribuiscono a stabilizzare i prezzi dei titoli di Stato nei momenti di maggiore tensione e possono consentire successivi guadagni in conto capitale nel caso di ripresa dei corsi; dall’altro espongono gli intermediari ai rischi associati a ulteriori cali dei prezzi.
La politica economica
Infine, la terza “P” è la politica economica intesa come tutte quelle azioni necessarie per far fronte alle debolezze strutturali italiane. Tra queste figurano la creazione di condizioni favorevoli per aumentare l’occupazione, l’innovazione e l’attività d’impresa, l’efficienza dei servizi pubblici, la qualità della forza lavoro, ecc. “In assenza di risultati consistenti sul piano strutturale”, avverte Visco, “quelli che a livello internazionale sono rallentamenti di natura congiunturale, tendono da noi a trasformarsi in un ristagno o in un calo dell’attività produttiva”.