Negli ultimi giorni la Fed (Powell e Bullard) ha gettato un po’ di acqua sul fuoco delle attese, invero molto aggressive, di tagli dei tassi. Perché tagliare di 50 punti base in luglio con l’azionario ai massimi e i rendimenti obbligazionari già scesi? Perché c’è la guerra con la Cina, avrebbe risposto il mercato fino a qualche tempo fa. Ora però tra Stati Uniti e Cina sembrerebbe profilarsi una nuova fase di tregua e di dialogo, anche se senza illusioni, e la Fed, comprensibilmente, vuole non sentirsi costretta a tagliare solo perché tirata per la giacca e preferisce tenersi qualche margine di manovra.
È bastata dunque un po’ d’acqua sul fuoco sui tassi per fare stornare oro e Bitcoin e spezzare quel momentum che stava prendendo velocità e ricominciando a dare nell’occhio. Meglio così, perché i tempi non sono ancora maturi per un grande bull market dei beni rifugio e una falsa partenza che si traducesse in uno sboom rilevante ne brucerebbe di nuovo l’immagine.
Attenzione, però. Il fatto che i tempi non siano ancora maturi non significa che non si stia muovendo niente. Appoggiate l’orecchio per terra e sentirete suoni ancora lontani e confusi, ma in graduale avvicinamento. Sono suoni di repressione finanziaria, di reflazione monetaria e presto fiscale, di chiusura dei mercati delle cose e, in prospettiva, anche dei capitali, di livelli di tassazione che hanno raggiunto il loro minimo secolare e invertiranno presto la rotta. Tutti fattori, come proveremo a spiegare, che favoriranno i beni rifugio.
Cerchiamo di andare con ordine e cominciamo dalla repressione finanziaria. Ancora nell’autunno scorso, quando il decennale americano stava vicino al 3.25, si pensava che i tassi reali, dopo essere rimasti a zero o sotto zero per molti anni, avessero finalmente imboccato la strada della normalizzazione. Previsioni di tassi lunghi al 4 per cento per inizio anni Venti e di inflazione al 2.5 lasciavano spazio per pensare a rendimenti reali dell’1.5. Niente di clamoroso, ma certamente tale da fare una concorrenza quasi sleale all’oro (che infatti in quel periodo stava a 1200) e al Bitcoin (allora poco sopra 6000), due strumenti che nulla mai renderanno né in termini nominali né in termini reali (se non, eventualmente, come capital gain).
Sono passati meno di otto mesi e ci ritroviamo oggi con meno attese di inflazione di allora, con banche centrali che ancora in dicembre accarezzavano l’idea di alzare i tassi per due anni a venire e che oggi pensano di tagliarli anche aggressivamente. Siamo anche vicini all’attuazione del nuovo paradigma dell’inflazione simmetrica, che significa, per i prossimi anni, un obiettivo di inflazione più vicino al tre che al due.
Insomma, dall’idea di muoverci verso tassi reali positivi siamo passati a quella di un altro lungo periodo di tassi reali ancora più negativi rispetto a quelli degli anni scorsi. E a essere negativi non sono più solo i tassi reali ma, sempre di più, anche quelli nominali. Ecco allora il Bitcoin raddoppiato rispetto a ottobre e l’oro passato da 1200 a 1400. D’altra parte, tra un cinquantennale in franchi svizzeri a rendimento zero per il prossimo mezzo secolo e l’oro, probabilmente è meglio l’oro.
Il secondo fattore di supporto per i beni rifugio è strategico. Il mondo si va segmentando, ovunque si alzano muri e barriere e la porosità dei confini viene gradualmente meno. L’utilizzo del dollaro come arma induce le vittime delle sanzioni americane (Iran, Venezuela, Russia e ora Cina) a cercare alternative. Le banche centrali dei paesi emergenti continuano a comprare oro e le classi abbienti, nel timore di essere coinvolte dalle sanzioni, si volgono verso beni rifugio poco tracciabili. Chi ha somme modeste si rivolge alle criptovalute.
Il terzo fattore è il profilarsi di livelli di tassazione più alti, in certi casi in modo particolarmente aggressivo. Non inganni il fatto che avremo politiche fiscali più espansive nel prossimo decennio. Non saranno infatti le tasse a diminuire, ma le spese ad aumentare di molto. Una parte di queste spese aggiuntive sarà in deficit, un’altra parte sarà raccolta con imposte sulle transazioni finanziarie e sulla ricchezza. Chi ha dubbi in proposito si ascolti i primi due dibattiti tra i venti candidati democratici trasmessi dalla Nbc o si guardi la voglia di punire i ricchi che emerge dai sondaggi in America. Con Biden opaco e traballante e la Warren lanciatissima con la sua patrimoniale del 2 per cento annuale, la voglia di comprare un Picasso o un Koons e di nasconderli in un trust sale ogni giorno in chi ha le decine di milioni necessari. Per chi non li ha ci sono i lingottini da nascondere in giardino e le criptovalute.
Che cosa preferire, tra i beni rifugio? Noi preferiamo l’oro, non solo per i suoi 5000 anni di storia, ma soprattutto per l’interesse che molte banche centrali stanno manifestando ormai da anni verso di esso. C’è comunque uno spazio di nicchia anche per le criptovalute più serie.
Va tenuto in conto che tutti i beni rifugio possono cadere vittime dell’azione normativa repressiva degli stati sovrani. Dall’inizio degli anni Ottanta questa azione repressiva l’abbiamo vista poco perché le politiche monetarie dei regimi di fiat money sono state relativamente sobrie e autocontrollate. Se dovessimo avviarci verso una stagione di monetizzazione più aggressiva del debito e di grandi disavanzi pubblici dovremo aspettarci meno tolleranza verso questi strumenti.
Questo vale anche per i giganti di Silicon Valley e per i loro progetti di lanciare loro valute. Il grande patto tra questi giganti e il partito democratico si sta rompendo e la disponibilità a lasciare completa libertà a questi nuovi monopoli si riduce a vista d’occhio.
Chi ha l’età per ricordare gli anni Settanta sa come regolarsi in questo mondo che sembrerebbe profilarsi. Guerra fredda, repressione finanziaria e segregazione dei mercati furono i temi dominanti di quegli anni.
Non è affatto detto che le cose debbano andare per forza in questa direzione, ma è la prima volta da quarant’anni che ha senso crearsi un piano nel caso ci si vada sul serio. Il piano è semplice. Si tratta di rimanere ancora per un paio d’anni negli asset che hanno dato vita al grandioso bull market di questi quarant’anni, ma con quote di portafoglio decrescenti man mano ci avviciniamo al prossimo decennio. Con quello che si vende si potranno costituire i primi nuclei di un portafoglio diverso.