Gli indicatori finanziari da soli non bastano per prendere decisioni di investimento consapevoli e responsabili. Il caso di Atlantia è emblematico. Se ci soffermiamo esclusivamente sui dati di bilancio, la società che gestisce in concessione, attraverso Autostrade per l’Italia, circa 3 mila km di rete autostradale nella penisola, ha un profilo interessante.
La relazione semestrale al 30 giugno 2018, approvata lo scorso 3 agosto, mostra un incremento, rispetto allo stesso periodo del 2017, del margine operativo lordo (in termini tecnici Ebitda), dei ricavi e del cash flow operativo. Inoltre, l’assemblea dei soci aveva deliberato, il 20 aprile, la distribuzione di un dividendo di 1,22 euro per azione per l’esercizio 2017, in aumento dallo 0,97 del 2016. Senza entrare in dettagli troppo tecnici, possiamo anche dire che il brusco calo del titolo, a seguito della tragedia del ponte Morandi a Genova, ha fatto scendere il prezzo di Borsa ben al di sotto del cosiddetto fair value (ossia del suo valore equo).
Rischio cinque
Tuttavia, se introduciamo nell’analisi indicatori non finanziari, ma di sostenibilità, il giudizio cambia drasticamente. Sustainalytics, società partecipata al 40% da Morningstar, indica un livello di rischiosità pari a cinque, il massimo, con riferimento alla qualità e sicurezza verso i clienti. “43 morti, centinaia di evacuati e ingenti danni a un nodo autostradale cruciale hanno un severo impatto sull’ambiente e la comunità locale, oltre a porre un serio rischio per l’azienda”, scrivono gli analisti in una nota del 21 agosto. “Inoltre, Atlantia deve far fronte a gravi rischi operativi, reputazionali, legali e finanziari a seguito delle inchieste sulle responsabilità di Autostrade nel crollo del ponte, la possibilità di perdere le attuali e future concessioni, le potenziali multe e i risarcimenti danni, la negativa pubblicità sui media”.
Gli interrogativi
La probabilità di incorrere in tali rischi poteva essere pronosticata? In una certa misura, la risposta è affermativa. Sustainalytics attribuiva già prima della tragedia un livello di “controversie” pari a tre, ossia significativo. “Ci sono stati altri incidenti in passato che hanno messo in dubbio le procedure di manutenzione adottate da Autostrade”, si legge nella nota del 21 agosto. I più gravi sono stati il crollo di un altro ponte sulla A14 vicino ad Ancona nel 2017 e l’incidente del bus sulla A16 vicino a Monteforte Irpino, che causò la morte di 39 persone e per il quale sono andati a processo anche alcuni manager presenti o passati della concessionaria autostradale.
“Nonostante le cause del crollo del ponte di Genova non siano ancora state determinate, il fatto che fosse stato lasciato aperto a dispetto degli interrogativi sulla sua sicurezza emersi più volte negli anni passati, anche dalla stessa Autostrade, rappresenta una severa mancanza da parte dei vertici del gestore, il cui obbligo è di assicurare la sicurezza di tutti gli stakeholder”, concludono gli analisti di Sustainalytics.
Un conto salato
Ora a perdere sono tutti. Innanzitutto, la comunità civile che paga un alto numero di vittime e sfollati, oltre ai disagi dei pendolari e dei viaggiatori. In secondo luogo, gli investitori che hanno visto crollare il prezzo di Atlantia in Borsa e devono mettere in conto le possibili multe, i maggiori costi di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete, i rischi di revoca della concessione e quindi la messa in discussione dell’attuale modello di business. Infine, a perdere è anche l’azienda la cui reputazione è stata severamente compromessa e con essa le possibilità di espansione futura.