Dissonanze: Perché salgono le Borse europee ma non sale l’euro?

Toro

Negli ultimi giorni l’aria per l’Europa, e in particolare per la Germania, è diventata più respirabile. Il parlamento britannico e i laburisti hanno completato il processo di svuotamento di Brexit che era stato avviato dalla May. Le auto tedesche continueranno a essere acquistate dai banchieri e dai gestori di Londra senza l’aggravio di dazi proibitivi e questo, in un momento molto difficile per il manifatturiero tedesco (e per il suo indotto continentale, Italia in prima fila) non è poco.

Un’altra buona notizia è che l’accordo tra Stati Uniti e Cina sembra ormai in dirittura di arrivo. Per l’Europa i vantaggi sono tre e sono tutti importanti. Da una parte in Cina ci sarà una ripresa della fiducia, che avrà come effetto immediato una ripresa delle importazioni dal resto del mondo (e quindi anche dall’Europa). Dall’altra le concessioni che Trump sarà riuscito a strappare in termini di protezione dei diritti di proprietà intellettuale e di apertura dei mercati cinesi saranno in qualche misura erga omnes, e quindi avvantaggeranno anche le imprese europee. Infine, la probabile cancellazione delle tariffe introdotte dagli Stati Uniti o, quantomeno, la rinuncia a introdurne di ancora più pesanti, aiuterà i produttori tedeschi che fabbricano auto in America e da lì le esportano in Cina.

Di fronte a queste importanti e positive novità, le borse europee hanno messo nel cassetto e finto di non vedere il pessimo andamento del manifatturiero tedesco, di cui continuiamo a ricevere conferma tutti i giorni. C’è una logica in questo. Il settore ha probabilmente toccato il suo punto più basso e tornerà a crescere entro breve. È giusto che le borse, che quando possono cercano di guardare al futuro e anticipare gli eventi, si portino avanti.

Ma perché le borse europee salgono da tre mesi (e mostrano ogni intenzione di continuare per un altro tratto) mentre l’euro non mostra nessun segno di forza? Qualcuno osserverà che le borse europee (come quelle globali) sono salite molto in questi tre mesi semplicemente perché erano scese di altrettanto nei tre mesi precedenti. Vero, ma l’euro, dopo essere sceso nel quarto trimestre del 2018, ha continuato a scendere anche in questi ultimi tre mesi. In settembre aveva sfiorato 1.18 e oggi lo ritroviamo a 1.12. E la cosa è tanto più interessante in quanto avviene mentre Trump cerca tutti i giorni di indebolire il dollaro con le sue dichiarazioni e mentre il differenziale tra i tassi americani e quelli europei ha iniziato a ridursi e sembra destinato a scendere ancora.

Attenzione, l’euro non è importante solo per chi si occupa di cambi, ma anche per chi investe in borsa. Nei rialzi degli ultimi anni (anche le borse europee, ogni tanto, salgono) euro e azioni hanno sempre dovuto dividersi tra loro il ritrovato consenso del mercato. In alcuni momenti l’euro l’ha fatta da padrone e, con il suo rialzo, ha soffocato quello dell’azionario. Il rialzo in corso delle borse europee, se si muove sciolto e agile, lo deve anche alla completa assenza di vitalità dell’euro.

Possiamo provare a dare qualche spiegazione al fenomeno. La prima cosa che viene in mente è il posizionamento dei mercati. I portafogli si sono talmente alleggeriti di azioni europee alla fine dell’anno scorso che ora devono rincorrere il rialzo e continuare a comprare. Sull’euro, per contro, lo sbilanciamento delle posizioni è stato più contenuto.

Una seconda ragione possibile è che le borse stanno diventando sempre di più uno strumento di politica monetaria. Powell lo ripete continuamente nei termini più chiari e diretti possibili. Powell si è spinto addirittura a confessare con grande candore quello che per i banchieri centrali è sempre stato inconfessabile, e cioè che in certi momenti le borse dettano la politica monetaria. In un momento in cui si è temuta una crisi verticale di fiducia (negli Stati Uniti) o una recessione vera e propria (in Europa) dare spazio di recupero alle borse con una guidance più morbida sui tassi è stato un modo per ripristinare velocemente la fiducia ed evitare un collasso generale. Non dimentichiamo che l’America di Trump non vuole assolutamente una recessione, mentre l’Europa non può semplicemente permettersela.

Una terza ragione della debolezza e della mancanza di reattività dell’euro è forse che, mentre le borse festeggiano un miglioramento di breve dello scenario globale, i cambi sono più sensibili agli aspetti strutturali. In pratica, Brexit e l’accordo con la Cina offrono l’occasione per un sospiro di sollievo, ma non risolvono in modo duraturo i problemi sottostanti. Più Brexit è morbida e praticamente inesistente, più cresce la frustrazione e la rabbia dei vincitori del referendum e più instabile si profila il quadro politico britannico nel medio termine. Per quanto riguarda l’accordo con la Cina, quello che si profila ottiene 30 là dove Trump chiedeva 100. È molto? È poco? È più o meno la stessa percentuale di successo del Nafta 2. Quale che sia il giudizio, resta il fatto che c’è un 70 di non risolto, che riguarda in particolare la questione molto delicata dell’implementazione di quello che si andrà a firmare.

Rimane poi un’ultima incognita, quella del negoziato commerciale con l’Europa che Trump potrebbe aprire dopo avere chiuso quello con la Cina. Un accordo light con i cinesi (come quello che si profila) esporrà Trump alle critiche dei democratici, che già tengono bloccato in Congresso il Nafta 2. È possibile allora che Trump rinunci al contenzioso con l’Europa, ma è anche possibile che cerchi di rifarsi l’immagine di negoziatore efficace con un atteggiamento più duro. Nel dubbio, è comprensibile che la Bce cerchi di mantenere l’euro debole.

È un momento magico per le borse. Non c’è molta crescita e c’è un inizio di erosione dei margini di profitto, ma l’atteggiamento morbido della Fed fa premio su tutto. La Fed ha giurato che sarà paziente e, non bastasse, Trump la martella tutti i giorni per chiederle un ribasso dei tassi di 50 punti base. Il ribasso è prematuro (anche se il mercato ha cominciato a prezzarlo) ma sicuramento non avremo altri rialzi nei prossimi mesi. Con una Fed che ha promesso di non fare nulla anche se l’inflazione dovesse salire sopra il due per cento il margine di sicurezza per l’azionario è particolarmente ampio.

Il rialzo è dunque invulnerabile? No, naturalmente. Occorrerebbe però una sorpresa forte, come un improvviso aumento dell’inflazione o un azzeramento della crescita, per interromperlo. Una correzione precipitosa ci sarebbe anche se dovesse saltare all’ultimo momento l’accordo con la Cina, anche se le due parti farebbero comunque di tutto per non ritrasformare in guerra la pace mancata.

Ci avviciniamo però al momento in cui il rialzo dovrà comunque rallentare e diventare più irregolare. Per la Fed potrebbe essere imbarazzante vedere nuovi massimi di borsa in presenza di un’economia decente ma non particolarmente brillante. Una modesta risalita dei rendimenti della parte lunga della curva, spontanea o indotta da vendite della Fed, potrebbe aprire questa nuova fase di rialzo più lento e meno regolare.