E’ davvero finita la festa per i bond emergenti o il periodo d’oro sta per tornare? In un momento di bassi tassi di interesse (in alcuni casi negativi) per i bond delle zone sviluppate, la carta emerging sembrava poter dare le soddifazioni che gli investitori cercavano. L’indice JPM GBI-EM Global Diversified fra il 2016 e il 2017 ha guadagnato (in euro) quasi il 15%. Con il 2018, invece, è iniziata la fase di discesa. Da gennaio (fino al 25 giugno) il paniere ha perso il 3,6%.
Indice JPM GBI-EM Global Diversified
Dati in euro aggiornati al 25 giugno 2018
Fonte: Morningstar Direct
“Le vendite erano attese da quando si è visto il rafforzamento del dollaro”, spiega Mathias Palowski, Associate portfolio manager di Morningstar Investment Management. “Gli investitori hanno preferito prendere i profitti e spostarli su asset denominati in valuta americana. La discesa che abbiamo visto, tuttavia, rende ancora interessante l’investimento in debito emerging”.
Hard currency o valuta locale?
Resta il problema se sia meglio dirigersi su bond denominati in valuta locale o in hard currency. “La prima cosa che va sempre considerata è che, pur investendo tutti e due nei mercati emergenti, si tratta di specie di bond completamente diverse”, dice Palowski. “Lo dimostrano, ad esempio, diversi indici. Quelli specializzati sulle emissioni in valuta locale sono molto concentrati e dominati dalle economie più grandi come Messico, Brasile,Turchia e Sud Africa. Se si seguono gli avvenimenti che condizionano l’andamento di questo paniere ci si trova ad avere a che fare con le decisioni di Trump, con i problemi del mercato valutario locale o con tensioni politiche”.
Diversa la questione per la carta hard currency dove, sempre a livello di indici, ogni paese rappresenta solo una frazione del paniere. “Stati come il Kenya o la Costa D’Avorio non emettono debito nella loro valuta perché nessuno lo comprerebbe. Per finanziarsi sono costretti a farlo in divise più solide”, dice Palowski.
BGF Emerging Markets Bond C2, secondo Niels Faassem, fund analyst di Morningstar, è “una delle migliori soluzioni per investire nel debito hard currency dei paesi emergenti”, spiega in un report del 5 ottobre 2017. “Il processo combina lo studio della situazione globale con l’analisi approfondita di ogni singolo paese emergente. Gli specialisti dei settori fanno un’analisi degli emittenti per individuare le opportunità di investimento. A livello di costruzione di portafoglio questo viene implementato con un asset allocation strategica basata sulle attese riguardo al comportamento del mercato e gli sviluppi dei paesi. I manager stanno anche attenti ai fattori esterni che possono condizionare i bond dei mercati emergenti. Per questo utilizzano un modello che possa identificare quelle che chiamano tempeste, il loro progresso e le probabilità che avvengano”.
Templeton Emerging Markets Bond C (acc) USD, secondo gli analisti di Morningstar è, invece, uno degli strumenti migliori per avere un’esposizione sia alle emissioni in valuta locale sia a quelle in hard currency. “Basandosi sulla dettagliata ricerca fondamentale degli analisti, il gestore sceglie paesi e divise che ritiene sottovalutate alla luce delle prospettive economiche”, spiega Don Yew, fund analyst di Morningstar in un report del 27 ottobre 2017. “Quindi decide di sviluppare la sua idea attraverso un investimento valutario, in bond o utilizzando entrambi gli strumenti. Il manager è pronto a sganciarsi in maniera decisa dal benchmark se crede che ne valga la pena. E’ anche disposto ad andare su mercati che non piacciono agli altri investitori o che sono poco liquidi. Il rischio viene compensato con forti investimenti su asset considerati più sicuri”.