Fondo, ma quanto mi costi?

A gennaio è stato pubblicato dalla Consob un discussion paper intitolato “Il costo dei fondi comuni in Italia. Evoluzione temporale e confronto internazionale”. Lo studio che porta le firme di Gaetano Finiguerra, Giovanna Frati e Renato Grasso indaga non solo sugli oneri a carico degli investitori, ma anche sull’evoluzione che ha subito il mercato negli ultimi anni.

Si tratta di un’analisi molto interessante soprattutto se non ci si limita a leggere l’abstract, che inevitabilmente riporta i risultati medi dell’intero settore e che potrebbe indurre a conclusioni semplicistiche ed affrettate sulla bontà dei fondi comuni.

Il problema costi sussiste, così come già affermato in settembre da un precedente studio di Banca d’Italia, ma non è sufficiente per diventare detrattori di questi strumenti o correre a liquidarli qualora siano presenti all’interno dei propri portafogli. Così come dimostrano i risultati dello studio, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Addentrandosi nel documento infatti si scopre che su alcuni aspetti esiste molta differenza tra i gruppi di prodotti analizzati.

Nell’analisi dei costi di gestione non sorprende che i fondi azionari siano i più cari e che i monetari siano invece quelli più economici. Inoltre per quanto riguarda questa tipologia di costi c’è stata una discreta stabilità nel periodo preso in analisi (2012-2016). Ciò che invece sorprende sono gli elevati costi d’ingresso dei fondi flessibili e bilanciati nonché la loro tendenza a crescere nel tempo. Se si sommano i costi di gestione e quelli d’ingresso, i fondi flessibili superano gli azionari nella graduatoria dei prodotti più onerosi per gli investitori.

Elaborazioni Consob su segnalazioni statistiche di vigilanza e Assogestioni

Un’analisi che si limita ad indagare i costi è miope perché non prende in considerazione gli utili prodotti da questi strumenti. Il maggior costo dei fondi flessibili infatti potrebbe essere giustificato dalla complessità delle strategie che i gestori mettono in atto per ottenere un extra-rendimento rispetto ai mercati tradizionali. Per questo motivo lo studio Consob analizza quali sono state le performance dei diversi gruppi di fondi. Ciò che i numeri ci dicono è che nonostante siano stati anni molto positivi per alcuni comparti azionari ed obbligazionari, i rendimenti medi di tutta l’industria si sono ridotti nel corso del tempo. In un contesto in cui i risultati tendono a diminuire l’incidenza dei costi diventa sempre più importante. Le performance al netto dei costi mettono in evidenza come si sia arrivati nel 2016 a vedere il sorpasso dei flessibili e dei bilanciati da parte degli obbligazionari. In altri termini, i fondi che dovrebbero unire il meglio del mondo azionario e del mondo obbligazionario in strategie d’investimento complesse ed elaborate sono riuscite ad ottenere risultati peggiori rispetto alle due componenti prese singolarmente.


Elaborazioni Consob su segnalazioni statistiche di vigilanza e Assogestioni

Come si giustificano allora i risultati in termini di raccolta ottenuti nel periodo analizzato, dai fondi flessibili? Il dato sembra dare manforte alla tesi secondo cui l’industria del risparmio è maggiormente guidata dall’offerta piuttosto che dalla domanda. Dal 2012 questi prodotti sono esplosi da un punto di vista numerico, e sono stati oggetto di una vera e propria corsa agli acquisti (o meglio alla distribuzione). I fondi flessibili hanno più che raddoppiato la loro quota di mercato passando dal 18,8% del 2012 al 41,4% del 2016, infrangendo addirittura l’indiscusso primato del fondi obbligazionari.

Elaborazioni Consob su segnalazioni statistiche di vigilanza e Assogestioni

Da un punto di vista aggregato è preoccupante osservare che il peso di tutte le asset class tradizionali sia sceso, quasi a palesare la volontà degli investitori e soprattutto di molti consulenti di rinunciare alla gestione dei portafogli optando per una delega completa. Prodotti che spesso sono poco trasparenti, di cui è difficile comprendere strategia, libertà e limiti d’investimento, rendono difficile un’analisi dell’esposizione dei propri portafogli ed indagare l’origine dei problemi quando questi si presentano.

Non è sicuramente costruttivo generalizzare queste osservazioni su tutto l’universo dei fondi flessibili perché si rischia di perdere alcune valide opportunità d’investimento che questo bacino di prodotti offre.

D’altro canto i risultati sono inequivocabili e supportano la validità di un portafoglio che fa dell’intramontabile asset allocation il proprio punto di forza. In questo contesto, l’utilizzo di fondi comuni opportunamente selezionati al fine di implementare la propria allocazione ideale di portafoglio, è assolutamente appropriato. È importante non farsi trascinare dalle mode: come in ogni altro aspetto della vita, anche in finanza il più delle volte sono passeggere.