Nonostante in diverse aree del mondo si siano visti miglioramenti sostanziali in termini ambientali, sociali e di governance (ESG), sono come al solito i paesi europei, in particolare i nordici, a guidare la classifica dei mercati azionari più sostenibili al mondo. Questa, in realtà, non rappresenta una grande sorpresa, dal momento che queste nazioni sono sempre state un passo avanti su questo fronte. Ci sono comunque alcuni altri paesi che dimostrano profili di sostenibilità particolarmente solidi.
A dirlo è l’ultimo Morningstar Sustainability Atlas, uno studio semestrale che analizza 46 indici azionari Morningstar (97% della capitalizzazione di mercato mondiale) sulla base delle valutazioni ESG dei singoli titoli (il Sustainability Score fornito da Sustainalytics). La metodologia è la stessa usata per calcolare il Morningstar Sustainability rating per i fondi e gli Etf.
Finlandia campione di sostenibilità, Cina agli ultimi posti
La mappa sottostante mostra chiaramente come i paesi del nord Europa e la zona euro siano i più virtuosi in termini di sostenibilità. La Finlandia, in particolare, si aggiudica il titolo di mercato azionario più sostenibile al mondo, grazie a titoli come Nokia (leader ESG nel settore dell’hardware tecnologico globale) e KONE (leader ESG nel settore dei macchinari).
Scendendo nel dettaglio dei tre singoli pilastri, invece, la Danimarca ha ottenuto il punteggio più alto con riferimento ai criteri sociali, i Paesi Bassi relativamente alla governance e il Portogallo ai criteri ambientali.
L’Italia, dal canto suo, figura quattordicesima (su 46) in termini di sostenibilità. Il mercato tricolore si piazza nel primo quintile per quanto riguarda i criteri ambientali e sociali e in cima al secondo per la governance. A pesare sul nostro benchmark sono soprattutto le controversie che vedono coinvolte aziende del calibro di Eni e Fiat Chrysler.
La Colombia, invece, si consolida come il mercato extraeuropeo con il punteggio più alto del mondo, grazie a società come Bancolombia, Ecopetrol e Cementos Argos (tutte considerate dei leader ESG globali nei rispettivi settori).
Cina, Russia e i paesi mediorientali si piazzano in fondo alla classifica. Pechino, in particolare, rientra nel peggior quintile delle classifiche in base a tutti e tre i criteri ESG, principalmente a causa dello scarso livello di governance aziendale da parte di società come Alibaba e Tencent.
Il peso delle controversie
Sustainalytics definisce come controversie, tutti quei fatti o incidenti che possono impattare sugli interessi degli stakeholder e, di conseguenza, sul business dell’azienda stessa, rappresentando quindi un rischio per la società e incidendo direttamente sul rating ESG di quel titolo. Clicca qui per approfondire la metodologia relativa alle controversie.
L’Atlas mostra bene l’impatto di questi eventi. Ad esempio, la Svizzera ottiene ottimi risultati in termini ESG globali (classificandosi al terzo posto su 46 in tale classifica), ma il livello di controversie che coinvolgono aziende chiave come Novartis e Nestlé abbassa fortemente il suo punteggio complessivo di sostenibilità, facendo scivolare la Repubblica elvetica al dodicesimo posto nella valutazione finale. Lo stesso vale per il Brasile, il quale, nonostante un discreto punteggio ESG, si ritrova alla fine nella metà inferiore nella classifica di sostenibilità, a causa delle controversie riguardanti alcune delle maggiori società del paese, come Vale S.A. e Petróleo Brasileiro.
Gli Stati Uniti, da parte loro, si collocano nel quarto quintile della classifica della sostenibilità globale, a causa di un livello significativo di controversie da parte di grandi costituenti dell’indice come Amazon, Apple o Microsoft, e di aziende come Facebook e Alphabet che segnano dei punteggi di governance deludenti.
Chi dipende più dal carbone
Dall’anno scorso, il Sustainability Atlas ha introdotto due nuove mappe, utilizzando due delle Morningstar Portfolio Carbon Metrics, le quali permettono di misurare l’esposizione del portafoglio dei fondi ai rischi derivanti dalle emissioni inquinanti.
A livello di Carbon Intensity (una misura dell’impronta ambientale – carbon footprint – del proprio portafoglio), i mercati meglio posizionati includono il Perù e l’Egitto, grazie alle “piccole” impronte di carbonio delle banche, delle telecomunicazioni e delle società immobiliari che dominano tali indici. La maggior parte dei mercati dell’Europa occidentale ha una Carbon intensity piuttosto bassa rispetto alle dimensioni delle imprese, con la Svezia che ottiene il miglior punteggio in questo senso, seguita dal Belgio.
Sorprendentemente, il Portogallo, campione in termini ambientali, ottiene invece un punteggio mediocre, a causa della forte esposizione della Borsa portoghese verso le utility e il settore energetico. Anche l’Italia fa eccezione, piazzandosi al quarto quintile della classifica.