Le commodity non perdono il loro appeal. Dati alla mano, i flussi verso gli strumenti esposti alle materie prime restano globalmente positivi. Nei primi quattro mesi dell’anno questi prodotti hanno raccolto in Europa oltre tre miliardi di euro (che salgono a 5,7 miliardi negli ultimi 12 mesi), concentrati soprattutto sui panieri diversificati e sui metalli preziosi.
È bene sottolineare come oltre il 90% di questi flussi riguardi in realtà una tipologia specifica di prodotti d’investimento, gli Exchange traded commodity (Etc). I replicanti quotati dedicati alle materie prime (ce ne sono attualmente 333 in Europa, 82 disponibili anche sulla Borsa di Milano) sono quasi tutti a replica sintetica. Clicca qui per approfondire i meccanismi di questi strumenti e per capire quali sono i potenziali rischi. Clicca qui, invece, per leggere la differenza tra uno swap unfunded e uno swap funded.
Le prospettive
Intanto, le prospettive per il 2018 rimangono sostanzialmente positive. In generale, secondo l’ultimo Commodity Markets Outlook della Banca Mondiale, quest’anno i prezzi sono previsti in moderata salita, soprattutto per quanto riguarda le commodity energetiche (il petrolio in particolare) e l’oro. Un elemento importante, visto che le materie prime di questo tipo sono quelle che pesano di più nei benchmark generici.
Le commodity fanno il loro dovere?
Le materie prime sono tradizionalmente viste come una classe di attivi che porta con sé due vantaggi principali: una protezione contro l’inflazione (i prezzi delle commodity possono trarre beneficio da periodi inattesi di inflazione, mentre le valutazioni di azioni e bond ne posso soffrire) e soprattutto la diversificazione di portafoglio (la domanda e l’offerta di materie prime, infatti, seguono percorsi totalmente diversi rispetto a quelli dei mercati azionari e obbligazionari, basti pensare al ruolo del meteo nella produzione agricola).
In generale, le materie prime, in modo particolare i metalli preziosi, hanno provato in questi ultimi anni la loro efficacia come protezione contro l’inflazione (come dimostrato anche da uno studio di Morningstar firmato da Abraham Bailin e Lee Davidson nel 2012). E per quanto riguarda la correlazione con i mercati?
Le tabelle sottostanti (che indicano il tasso di correlazione a uno, tre e cinque anni, tra diversi indici di commodity e i principali benchmark azionari e obbligazionari) dimostrano che le materie prime hanno tutto sommato ottemperato al loro ruolo di elemento di diversificazione di portafoglio, soprattutto a cinque e tre anni, con il gas naturale e i metalli preziosi che si distinguono in questo senso. Negli ultimi 12 mesi, invece, le cose sono andate un po’ meno bene da questo punto di vista, con i principali indici azionari che non mostrano nessun tasso di correlazione negativo verso le varie tipologie di materie prime. Il Bloomberg Commodity Index, un paniere diversificato, ad esempio, ha sensibilmente incrementato la propria correlazione con i benchmark azionari nel corso dell’ultimo anno (dati in euro al 31 maggio 2018).
In realtà, anche se in maniera non omogenea, le materie prime hanno gradualmente aumentato la propria correlazione con i mercati azionari a partire dalla crisi finanziaria del 2008, che ha poi segnato l’inizio della politica monetaria ultra-accomodante da parte della Fed. Non a caso, lo stesso fenomeno è stato vissuto in altre asset class storicamente decorrelate dai mercati azionari, come i fondi immobiliari. Il maggiore interesse degli investitori e gli afflussi di capitali in aumento in mercati storicamente inaccessibili o illiquidi, come appunto quello delle materie prime, hanno in parte portato a una correlazione progressivamente più elevata di questi strumenti con i listini azionari. Inoltre, quando c’è una crisi del credito, come ad esempio durante la crisi finanziaria dei subprime negli Usa o del debito sovrano europeo, ci si trova in una situazione che si ripercuote sia sull’economia reale sia sul mercato azionario globale.
“Qualunque sia la causa, è ragionevole aspettarsi che le correlazioni continueranno in futuro ad essere superiori di quanto non fossero storicamente”, afferma Alex Bryan, analista di Morningstar. “Naturalmente, questo non significa che le commodity abbiano perso i loro benefici di diversificazione. Sono ancora in grado di offrire migliori opportunità di diversificazione dei titoli azionari internazionali, e con l’economia globale in ripresa, le correlazioni potrebbero iniziare ad attenuarsi”.
Fonte: Morningstar Direct
Il coefficiente di correlazione è un parametro che misura in che modo la performance di uno strumento influenza l’andamento di un altro. Varia tra -1 e +1. Un coefficiente pari a 0 indica che non vi è alcuna relazione tra le performance dei due settori. Un coefficiente pari a 1 significa che c’è una correlazione positiva perfetta, il che significa che i due indici si muovono assieme, se uno sale del 10%, lo fa anche l’altro, e viceversa. Ovviamente, in caso di perfetta correlazione negativa (uguale -1) il rapporto è inverso: se il primo sale del 10%, il secondo perde il 10%.