C’era una volta l’economia lineare e c’è tuttora, ma qualcosa sta cambiando. Lo sviluppo basato sul modello “prendi le materie prime, produci e butta via” sta seriamente compromettendo l’ambiente e accelerando lo sfruttamento di risorse, che per loro natura sono scarse. Per questa ragione, si sta facendo strada il paradigma della circolarità, ossia di un sistema strutturato per potersi rigenerare e ridurre ai minimi gli sprechi. I materiali biologici sono quindi destinati ad essere reintegrati nell’atmosfera e quelli tecnici riutilizzati senza entrare nella biosfera.
Troppi sprechi
L’economia circolare, la cui definizione viene dalla Ellen MacArthur Foundation, ha guadagnato popolarità negli ultimi anni ed è considerata da più parti una componente integrante della transizione verso uno sviluppo più sostenibile. Ad esempio, è citata nei Sustainable development goal (SDG) delle Nazioni Unite: il numero 12 richiama a una produzione e a un consumo responsabile e ci fa riflettere su alcuni dati. Il primo riguarda la crescita demografica, perché se entro il 2050 dovessimo essere 9,5 miliardi ci servirebbero l’equivalente di tre pianeti per fornire le risorse naturali necessarie a mantenere gli attuali stili di vita. Il secondo è relativo all’acqua, perché ancora oggi circa due miliardi di persone non hanno accesso a quella potabile. Il terzo, ma potrebbero essercene molti altri, è sull’efficienza energetica: se si passasse alle lampadine a basso consumo si potrebbero risparmiare ogni anno nel mondo circa 120 miliardi di dollari.
La plastica è sicuramente uno degli esempi di sprechi nel modello lineare. Secondo i dati riportati da Sustainalytics, la sua produzione è cresciuta di venti volte dagli anni Sessanta al 2018 e si stima che possa raddoppiare nel prossimo ventennio. “Con 8 milioni di tonnellate di plastica che finiscono negli oceani ogni anno, è necessario riconsiderare il modo in cui facciamo, usiamo e ricicliamo questo materiale”, spiega in una nota Ewelina Łukasik-Morawska, manager specializzata su engagement di Sustainalytics. “E’ necessario optare per soluzioni riciclabili, eliminare gli sprechi nei processi produttivi, privilegiare le energie rinnovabili ed evitare l’uso di sostanze chimiche tossiche”.
La normativa europea
A livello normativo, il 4 luglio 2018 sono entrate in vigore quattro direttive europee che gli stati membri dovranno recepire entro il 5 luglio 2020. Prevedono, tra l’altro, il riciclo per almeno il 55% dei rifiuti urbani entro il 2025, percentuale che crescerà nei quinquenni successivi. Stesso discorso per gli imballaggi (minimo il 65%). I rifiuti tessili e quelli pericolosi delle famiglie dovranno essere raccolti separatamente e i biodegradabili obbligatoriamente riciclati attraverso il compostaggio (sempre entro il 2025).
Come si legge in una nota di Confindustria, “le nuove direttive puntano a migliorare l’ambiente, con una riduzione media annua delle emissioni di 617 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Non solo, si attende anche un impatto positivo sull’occupazione, con almeno 500 mila posti di lavoro in più. Inoltre, l’economia circolare potrebbe fare da volano all’economia dell’area euro favorendo, secondo le stime del Parlamento europeo, una crescita del Pil fino al 7% in più entro il 2035”.
Finanziare l’economia circolare
Il sistema finanziario può avere un ruolo importante nel fornire capitali alle imprese che sposano il modello di economia circolare. Si tratta in prevalenza di società a media e piccola capitalizzazione che, come si legge in un documento del Forum per la finanza sostenibile pubblicato nel 2018, hanno come principale risorsa l’autofinanziamento, ma avrebbero la necessità di trovare investitori con un orientamento di lungo termine che condividano l’obiettivo di muovere verso un sistema più sostenibile, ottenendo in cambio un equo ritorno finanziario.
Gli investitori finali possono fare la loro parte scegliendo fondi dedicati (per il momento molti pochi) oppure comparti che selezionino i loro investimenti facendo riferimento anche a panieri di aziende dell’economia circolare. Alcuni esempi, che sono disponibili in Italia, sono Decalia Circular economy, che ha un Morningstar Sustainability rating di 4 globi ed è per il momento riservato a investitori professionali; Pramerica Sicav Social 4 Planet (5 globi), Hermes impact opportunities equities (4 globi. Tutti i rating sono al 31 gennaio 2019). Questi strumenti si caratterizzano per l’investimento in settori quali sharing economy, energie rinnovabili, reti intelligenti, trattamento e riciclo dei rifiuti, gestione delle risorse idriche e sistemi di controllo dell’inquinamento.
“E’ importante conoscere le aziende in cui si investe”, dice Maxime Le Floch, Investment Analyst del team Hermes Impact opportunities equity. “I tradizionali metodi di selezione quantitativa non bastano per questo scopo. L’economia circolare non va considerata come un tema a sé stante, ma nel più ampio contesto della sostenibilità. Ad esempio, è controversa la questione delle bio-plastiche per l’impatto che possono avere sull’ambiente, in particolare con riferimento alla deforestazione e quindi al surriscaldamento del globo. Un altro settore da valutare con attenzione è quello dei veicoli elettrici: non tutti i modelli di business sono uguali e fa la differenza dove e come vengono prodotte le batterie”. In sostanza, i gestori non dovrebbero fermarsi a un aspetto del problema (environment), ma considerare anche gli altri, quindi i fattori sociali e di governance. Qualche esempio di società “circolare”? Le Floch cita Tomra, azienda norvegese che fornisce soluzioni basate su sensori per la produttività ottimale delle risorse, quindi per la raccolta e il riciclo dei rifiuti, e Brambles, impresa australiana che ha rivoluzionato il mondo dei pallet, fornendo un servizio anziché il prodotto e quindi riducendo gli sprechi.
Strumenti innovativi
Oltre i fondi comuni, esistono poi altri strumenti che potrebbero ampliare la gamma degli investimenti in economia circolare. Il gruppo di ricerca istituito nel 2018 dal Forum per la finanza sostenibile e Conai (Consorzio nazionale imballaggi) ha individuato tra gli altri i Pir (Piani individuali di risparmio), che attualmente però non prevedono vincoli ESG nella selezione dei titoli; i green bond, particolarmente indicati per finanziare progetti di eco-design ed eco-innovazione; i mini-bond, i cui proventi sono normalmente destinati a finanziare investimenti straordinari, piani di sviluppo e operazioni di rifinanziamento; i fondi chiusi (ne è un esempio il Fondo italiano d’investimento).