L’eredità di Bogle e la selezione degli Etf

ETF

Due settimane fa il mondo della finanza ha appreso la notizia della morte di John Bogle, fondatore 89enne del colosso di investimenti statunitense Vanguard. Le commosse reazioni da parte dei più autorevoli esponenti della comunità finanziaria globale testimoniano la rilevante statura del personaggio, i cui meriti vanno oltre l’esser stato il precursore di una filosofia ormai largamente adottata da tutte le tipologie d’investitori. Proprio l’estrema sensibilità verso le esigenze di questi ultimi, infatti, è stato il principio ispiratore dell’intera carriera di Bogle, condensata in insegnamenti semplici quanto efficaci esposti nelle sue diverse pubblicazioni.

La riduzione dei costi sopportati dai risparmiatori ha rappresentato una linea guida imprescindibile nello sviluppo del modello di società di gestione che Bogle aveva in mente. Data l’incidenza negativa che commissioni elevate esercitano sull’abilità dei gestori di battere il benchmark di riferimento, non risulta complesso comprendere l’impetuosa avanzata dell’indicizzazione, di cui gli ETF incarnano l’evoluzione di maggior successo. Tuttavia, ponendosi nell’ottica del consulente, il loro utilizzo per soddisfare gli specifici obiettivi del cliente richiede un articolato processo di screening che vada oltre il fattore costo senza sottovalutare i rischi connessi ad uno strumento solo apparentemente semplice da analizzare.

Affiancati originariamente in modo complementare ad un’allocazione strategica di natura attiva, gli ETF hanno nel tempo raggiunto una diffusione trasversale tra investitori istituzionali e privati, andando a coprire in modo capillare tutte le asset class, seppur con differenti livelli di efficacia. Delimitando la nostra analisi alla versione plain vanilla di tale tipologia di veicolo nell’universo degli Exchange Traded Products (ETP) – tra cui rientrano anche Exchange Traded Notes (ETN) ed Exchange Traded Commodities (ETC) – è possibile provare ad ordinare sinteticamente quegli elementi prioritari che andrebbero esaminati al fine di selezionare gli strumenti più appropriati.

  1. Tracking Error

Se scegliamo di investire passivamente in un indice è essenziale che il nostro strumento sia in grado di replicarne fedelmente l’andamento. La misura da osservare in questa circostanza è il Tracking Error, che esprime la deviazione standard degli scostamenti del rendimento dell’ETF rispetto a quello del suo benchmark. Ciò che cerchiamo idealmente è un valore percentuale prossimo allo zero. In realtà, i costi di transazione, il timing di ribilanciamento, l’attività di prestito titoli ed il cash drag – l’effetto derivante da temporanee disponibilità liquide del fondo non investite – determinano spesso un tracciamento imperfetto.

  1. Modalità di replica

In linea teorica, una struttura fisica è preferibile ad una struttura di natura sintetica effettuata mediante swap, per via del maggior rischio controparte implicito nella seconda. Tuttavia, la scelta è inevitabilmente condizionata dal benchmark a cui ci si espone. La replica fisica piena di un paniere composto da migliaia di componenti, come nel caso dei principali indici obbligazionari, è molto difficile e gravosa da ottenere, ecco perché le case di gestione possono ricorrere alla tecnica non priva di insidie del campionamento, che prevede di acquistare soltanto i titoli che rappresentano maggiormente le caratteristiche dell’indice. Pertanto, in taluni casi la replica fisica può non essere la soluzione ottimale che stiamo cercando.

  1. Liquidità

Si può procedere mediante la stima di tre parametri: spread denaro-lettera, controvalore medio giornaliero scambiato su un orizzonte temporale di almeno 12 mesi e profondità del book di negoziazione. Sebbene l’esposizione di quotazioni in acquisto e vendita da parte dei market maker sia obbligatoriamente prevista dal regolamento di borsa, non sono rari i casi in cui, in condizioni di accentuata volatilità degli indici di riferimento, la negoziazione delle quote venga sospesa anche per alcune ore. Inoltre, non bisogna dimenticare che gli ETF, a differenza dei fondi comuni tradizionali, posseggono un NAV rispetto al quale i prezzi di mercato possono essere a sconto o a premio. Il meccanismo di creazione e rimborso delle quote sul mercato primario mitiga questa dinamica, ma la sua efficacia è legata alla liquidità dei titoli compresi nell’indice, un elemento anch’esso fondamentale nella valutazione complessiva dello strumento.

  1. Total Expense Ratio

A questa variabile attribuiamo provocatoriamente un ruolo secondario, anche in virtù della continua corsa al ribasso dei principali emittenti. Infatti, il rischio di effettuare un confronto tra ETF sul medesimo indice prendendo in considerazione esclusivamente il TER è concreto. Nonostante questo indicatore includa importanti voci di costo come le commissioni di gestione e di banca depositaria, l’assenza di altre componenti tra cui quelle indicate al punto 1 implica la possibilità che un ETF con un TER contenuto registri performance peggiori di uno caratterizzato da un TER più elevato, diminuendo, di conseguenza, l’attendibilità di quest’ultimo come criterio di selezione. È sempre opportuno riconoscere il giusto valore a ciò che si acquista dopo un’attenta disamina, mostrandosi disposti ad accettare anche commissioni marginalmente più elevate per detenere un prodotto emesso da un gestore affidabile, ben costruito ed al contempo adeguato ai propri obiettivi d’investimento.