L’Europa fa fatica a tenere il passo dei mercati globali. L’indice Morningstar dedicato al Vecchio continente in un mese (fino al 23 luglio e calcolato in euro) ha guadagnato l’1,7% portando a +18% la performance da inizio anno. Il paniere globale, in quattro settimane, è salito di quasi il 3% (+20,4% da gennaio).
Indici Morningstar Europe e Morningstar Global a confronto
Dati in euro aggiornati al 24 luglio 2019 Fonte: Morningstar Direct
La differenza di comportamento si è fatta sentire nelle diverse categorie Morningstar che raccolgono i fondi dedicati alle azioni del Vecchio continente. Nella tabella in basso sono messi a confronto i segmenti dedicati all’equity europeo con gli universi riservati all’azionario globale.
Rischio populismo?
La differenza di velocità con il resto del mondo, in parte è da attribuire a una percezione della regione come area a rischio politico? “Alcune delle recenti elezioni europee sono state segnate dall’ampio consenso dato ai partiti populisti e di estrema destra, a spese dei tradizionali partiti centristi”, spiega Angus Tester, investment manager European equities di Aberdeen Standard Investments. “Questi partiti, come per esempio in Italia la Lega, prendono di mira l’Unione europea”.
Bisogna aver paura? “Nonostante la confusione politica, l’Europa è un terreno di caccia perfetto per gli stock picker”, dice Tester. “Un territorio di grandi dimensioni e liquidità, contraddistinto dalla complessità di diversi paesi, culture e ordinamenti giuridici. Per gli investitori più attivi, questo significa opportunità interessanti, spesso oggetto di valutazioni economiche errate, in settori che potrebbero sfuggire agli Etf. La futura crescita delle aziende di alta qualità è sostenuta anche da importanti fattori strutturali, come i cambiamenti demografici, la digitalizzazione delle imprese e l’inscalfibile valore dei premium brand (i marchi a più alto valore aggiunto, come ad esempio quelli del lusso, Ndr). Riteniamo che questi business continueranno a prosperare”.
Una Europa più politica
Un invito a non farsi prendere dal panico rispetto alle spinte populiste è arrivato dalla nomina di Christine Lagarde alla presidenza della Bce (ora è all’Fmi) e di Ursula Von der Leyen come presidente della Commissione europea. “Sono senza dubbio tra i migliori compromessi, perchè sono due donne di grande esperienza, entrambe molto favorevoli al rafforzamento dell’Unione europea”, spiega Didier Borowski, Head of Macroeconomic Research di Amundi. È chiaro che la dimensione politica ha preso il posto della dimensione tecnocratica. Questo è uno sviluppo significativo per le istituzioni europee, ma è ancora troppo presto per trarre qualsiasi conclusione. Il ruolo della Commissione diventerà inevitabilmente più politico. Ad esempio, le trattative commerciali con il resto del mondo avranno un ruolo centrale”.
La Bce pronta a nuovi tagli
Nel frattempo gli investitori hanno atteso la riunione di luglio della Banca centrale europea. L’interesse era soprattutto sulle indicazioni del presidente dell’Eurotower, Mario Draghi, in scadenza di mandato (lascerà il posto a Lagarde il 31 ottobre). La Bce ha lasciato i tassi d’interesse invariati: il tasso principale resta quindi fermo allo 0%, quello sui prestiti marginali allo 0,25% e quello sui depositi a -0,40%. L’istituto centrale ha però aperto a possibili nuovi tagli. Nel comunicato, seguito alla riunione, ha spiegato che lascerà i tassi invariati ai livelli attuali o inferiori fino “almeno alla prima metà del 2020 e comunque per tutto il periodo di tempo necessario” per far risalire l’inflazione. Il Consiglio direttivo, insomma, ha aperto a una tempistica più ampia in cui è escluso un rialzo (prima era fino a metà 2020) e segnalato un possibile taglio. La crescita globale più debole e il commercio globale rallentato dal protezionismo “stanno ancora pesando sull’economia dell’Eurozona”, ha detto il Presidente della Bce nella confenza stampa seguita all’annuncio. Si è poi soffermato sulla “prolungata incertezza dovuta a fattori geopolitici, al nascente protezionismo e alle vulnerabilità delle economie emergenti”.