Del doman non v’è certezza, diceva il poeta. Se poi ci si riferisce alla propria pensione, la certezza viene ancor meno. In Italia, infatti, il cantiere previdenziale è aperto dal lontano 1992, anno della prima vera riforma pensionistica dei nostri tempi; una storia, questa, che non riesce proprio a trovare pace, in un paese in cui si fanno due passi avanti e tre indietro e in cui i lavoratori prossimi alla pensione vedono continuamente cambiare le regole del gioco. D’altronde, proprio in queste settimane il governo ha inserito nel Def (Documento di economia e finanza) il superamento della riforma Fornero con l’ormai famosa “quota 100”.
A prescindere dai tira e molla della politica c’è un dato irrefutabile: le pensioni pubbliche sono destinate a diminuire drammaticamente, in particolar modo per chi ha oggi meno di 35-40 anni (clicca qui per approfondire). Insomma, sul piano teorico (ma purtroppo i numeri dicono che in realtà questo non sta avvenendo), la via della previdenza complementare per integrare l’assegno dell’Inps sembra una strada obbligata, soprattutto per i giovani.
Eppure, al di là della poca educazione finanziaria, o della scarsa possibilità di risparmio, anche chi vorrebbe aderire al secondo pilastro spesso si trova spaesato di fronte alla complessità della materia e dello schema regolatoria dei principali strumenti di previdenza integrativa.
Ecco, in breve, una panoramica dei principali strumenti a disposizione in Italia al fine di costruirsi una pensione di scorta.
Fondi pensione negoziali
I fondi negoziali, detti anche chiusi, sono istituiti sulla base di accordi tra le organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali di settori specifici: l’adesione a questi fondi è riservata a specifiche categorie. I principali sono Cometa per i metalmeccanici, Fonchim per i chimici, Fonte per i lavoratori del commercio e turismo, Perseo per i dipendenti pubblici.
Il principale vantaggio di questo strumento, rispetto agli altri, è che il datore di lavoro è obbligato a versare a sua volta un contributo alla forma pensionistica complementare alla quale ha aderito il dipendente. Ciò consente di aumentare i versamenti e, a parità di altre condizioni, di ottenere una pensione complementare più alta. Chi, invece, non può aderire a una forma collettiva, perché il suo contratto non lo prevede, ha altre due possibilità.
Fondi pensione aperti
Sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, assicurazioni, Sgr e Sim. Possono essere ad adesione individuale, su iniziativa del singolo, o collettiva (l’azienda sigla un contratto con un fondo pensione aperto per i suoi dipendenti). Nel caso di adesione individuale, l’aderente non beneficia del contributo del datore di lavoro, in caso di adesione collettiva invece può usufruire di questo vantaggio.
Quando si sceglie un fondo pensione (aperto o negoziale), si devono prendere fondamentalmente tre decisioni.
– La percentuale del proprio stipendio lordo da versare al fondo.
– La linea d’investimento (azionaria, obbligazionaria, bilanciata, garantita, che di solito può essere cambiata annualmente). Questo punto può essere modificato nel corso del tempo, di solito almeno una volta all’anno.
– Se destinare o meno il Tfr (Trattamento di fine rapporto) al fondo oppure lasciarlo in azienda. Si può decidere anche in un secondo momento di destinare alla previdenza complementare il Tfr futuro; in questo caso, il montante maturato fino a quel momento resta accantonato presso il datore di lavoro e sarà liquidato alla fine del rapporto.
Piani individuali pensionistici
I Pip sono forme pensionistiche complementari istituite dalle imprese di assicurazione. La differenza con i fondi pensione sta nel fatto che l’adesione è sempre a carattere individuale e ciò comporta dei vantaggi come la possibilità di interrompere (e poi eventualmente riprendere), il versamento dei premi prestabiliti senza che il contratto si interrompa o venga penalizzato. Chiunque può aderire ai Pip, anche casalinghe e studenti che non hanno posizioni previdenziali aperte con il sistema pubblico. Le condizioni contrattuali sono uguali per tutti i contratti emessi dalle varie compagnie assicurative e si differenziano tra loro per i costi e per il tipo di rendimento.
In generale, i Pip sono più flessibili ma anche molto più costosi. Dal punto di vista fiscale, invece, vengono trattati come i fondi pensione.
Il nodo Tfr
Uno dei punti che piacciono di meno ai lavoratori è il fatto che una volta scelto di destinare il Tfr a qualche forma di previdenza complementare non si può più tornare indietro. Si può cioè cambiare fondo pensione, ma non si può rimetterlo in azienda. Altro punto che non piace ai lavoratori è che il fondo pensione liquidi alla fine della vita lavorativa al massimo il 50% della posizione, obbligando l’aderente a ricevere la restante metà sotto forma di rendita. Chi lascia il Tfr in azienda, invece, lo riceve tutto subito sotto forma di liquidazione.
Esistono tuttavia delle importanti eccezioni a quest’ultimo punto: se il lavoratore rimane disoccupato per più di 12 mesi, può riscattare fino al 50% della somma maturata nel fondo pensione. Se invece il periodo di disoccupazione supera i 48 mesi, è possibile farsi anticipare fino al 100% del capitale. La stessa opportunità è offerta a chi rimane invalido in maniera permanente o deve affrontare delle spese mediche per gravi motivi di salute. Chi acquista la prima casa (per sé o per i figli) o deve effettuare degli interventi di ristrutturazione edilizia, invece, può ritirare in anticipo sino al 75% dei soldi investiti, purché l’adesione al fondo pensione o al Pip sia avvenuta da almeno otto anni. Infine, sempre per chi ha almeno otto anni di versamenti alle spalle, è anche possibile ritirare sino al 30% della somma maturata senza nessuna ragione specifica.
Il nodo fiscale
In attesa di capire esattamente come si muoverà il governo sul fronte deduzioni e detrazione, a quanto sembra in pericolo con la riforma fiscale (clicca qui per approfondire), attualmente lo Stato riconosce la possibilità agli aderenti di una forma di previdenza integrativa di poter dedurre i contributi dalla propria dichiarazione dei redditi fino a un importo massimo annuale di 5.164,57 euro.
Inoltre, a oggi gli strumenti di previdenza integrativa sono soggetti a una tassazione agevolata al momento della prestazione previdenziale (sia in forma di capitale, che in forma di rendita): sui contributi versati verrà applicata una tassazione massima del 15% che potrà essere ridotta di uno 0,30% per ogni anno di iscrizione successivo al 15esimo, fino al raggiungimento di una tassazione minima del 9%. In pratica, chi aderisce per almeno 35 anni, pagherà il 9% di tasse sulla parte liquidata a fine carriera, mentre il Tfr lasciato in azienda sarà soggetto all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello della cessazione del rapporto di lavoro.