È un quadro in chiaroscuro quello tracciato dal sesto rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2017”, a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presentato la settimana scorsa al Governo. Se da un lato migliora il rapporto attivi/pensionati e la spesa pensionistica resta sotto controllo, dall’altra esplodono i costi legati all’assistenza. Senza contare le importanti modifiche introdotte con la Legge di Bilancio 2019, su tutte “quota 100” e reddito di cittadinanza.
Secondo lo studio, a fine 2017 il numero degli occupati è salito rispetto all’anno precedente, mentre è diminuito rispetto il numero di pensionati di quasi 22.000 unità: il rapporto attivi/pensionati tocca quindi nel 2017 quota 1,435, dato migliore dal 1997 (primo anno utile al confronto).
Nel 2017, inoltre, la spesa pensionistica relativa a tutte le gestioni ha raggiunto i 220,843 miliardi contro i 218,5 miliardi del 2016 e con un’incidenza sul Pil del 12,87%. Si scende però addirittura all’11,74% – valore assolutamente in linea con la media dell’Eurozona – calcolando la spesa al netto di ogni forma di assistenza. Pari a 199,842 miliardi le entrate contributive, con un aumento dell’1,7% rispetto a 2016, non sufficiente però a evitare un saldo negativo di 21 miliardi (21,981 nel 2016): a gravare sul disavanzo in particolare la gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia un passivo di oltre 30 miliardi, e quella dei parasubordinati, con un passivo di 6,78 miliardi. In attivo invece di 3,67 miliardi il Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti.
Non confondere previdenza con assistenza
“In un anno segnato da molte promesse, ma anche da interventi concreti in materia, non si può negare che pensioni e assistenza si confermino temi ad ampia sensibilità sociale per gli italiani. Ragione per la quale – precisa Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali– diventa essenziale confutare molti luoghi comuni diffusi anche nel dibattito politico in materia. A cominciare da quello che vuole la spesa per le pensioni fuori controllo. Al contrario, dal 2013 al 2017, al netto dell’assistenza, la spesa pensionistica ha fatto registrare un aumento medio pari allo 0,88%, evidente sintomo del fatto che le riforme varate in questo periodo, pur non esenti da criticità, hanno colto l’obiettivo fondamentale di stabilizzarla. A preoccupare sono piuttosto i numeri dell’assistenza che, peraltro, in assenza di un contributo di scopo, è totalmente a carico della fiscalità generale”.
Secondo il Sesto Rapporto, infatti, il costo di tutte le attività assistenziali a carico della fiscalità generale per il 2017 è ammontato a 110,15 miliardi di euro:in sei anni il tasso di crescita delle spese per assistenza è stato quindi pari al 5,32%, un incremento superiore alla crescita del Pil e che vale oltre il 65% della spesa pensionistica al netto dell’IRPEF.
Da qui, la “necessaria” separazione tra previdenza e assistenza, vecchio cavallo di battaglia di Brambilla. “Che un paese del G7 abbia la metà dei propri pensionati totalmente o parzialmente assistita dallo Stato dovrebbe far riflettere gli apparati politici, ma anche di vigilanza”, afferma il professor Brambilla. “Se ai primi va imputata la responsabilità di promesse elettorali che spesso fanno leva sull’erogazione di nuove o di più generose prestazioni assistenziali, per i secondi il Rapporto mette in guardia da una possibile inefficienza della macchina organizzativa, che finisce col distribuire queste risorse a una platea che i numeri suggeriscono essere troppo vasta per rispecchiare l’effettiva situazione economica del paese”.
Il peso del welfare e l’incertezza su quota 100 e reddito di cittadinanza
Sul totale della spesa pubblica complessiva (compresi gli interessi sul debito pubblico), la spesa per prestazioni sociali incide quindi per il 54,01% (il 58,6% al netto degli interessi). La spesa sociale rispetto al Pil si attesta al 30% circa, uno dei livelli più elevati dell’Europa a 27 paesi. Una spesa ingente che, secondo le stime di Itinerari Previdenziali (in questo caso riferite al 2016, in assenza dei dati sulle entrate tributarie relativi al 2017), richiede per essere finanziata – oltre a tutti i contributi sociali, quando previsti – tutte le imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP e ISOS) e almeno altri 7,68 miliardi cui attingere attraverso imposte indirette.
Insomma, lo studio indica proprio nell’insufficiente livello di finanziamento uno dei principali punti di vulnerabilità del sistema e avanza anche qualche suggerimento per migliorare la situazione, come l’introduzione di un “casellario centrale dell’assistenza” che, migliorando l’allocazione delle risorse, potrebbe portare a un risparmio di 5 miliardi di euro l’anno, oltre a un maggiore e serrato controllo sull’evasione fiscale e contributiva.
Ancora tutto da valutare, poi, l’impatto degli interventi sul sistema pensionistico inseriti nella Legge di Bilancioper il 2019 e nei successivi decreti (introduzione “quota 100” e reddito di cittadinanza, blocco dell’indicizzazione dell’anzianità contributiva, flessibilizzazione in uscita per precoci e donne, mantenimento di APE sociale e lavori gravosi). “Provvedimenti che – si legge nel Rapporto – potrebbero in prima battuta interrompere il miglioramento del rapporto attivi/pensionati, senza alcun elemento equitativo nel calcolo della pensione, e un aumento della spesa assistenziale di oltre 8 miliardi, cui non si accompagnano peraltro incentivi a favore di lavoro e produttività. Con il rischio concreto che la spesa assistenziale superi nel 2019 i 142 miliardi in totale: una prospettiva ‘pericolosa’, in assenza non solo di un’efficiente macchina organizzativa e di controllo, ma anche e soprattutto alla luce del rallentamento dell’economia del paese”.