Per gli Exchange traded fund (Etf), Piazza Affari è un terreno davvero sfidante. Dall’inizio della crisi finanziaria, gli strumenti che replicano l’indice Ftse Mib hanno mediamente fatto peggio dell’intera categoria di fondi specializzata sull’azionario Italia.
Detto in altri termini, la gestione attiva si è comportata meglio da un punto di vista dei rendimenti corretti per il rischio. “Se guardiamo agli ultimi dieci anni, gli Etf si collocano nell’ultimo quartile”, dice Kenneth Lamont, analista di Morningstar. “Solo a tre e cinque anni la situazione è leggermente migliore”. Lo Star rating, indicatore sintetico del profilo di rischio/rendimento corretto per i costi, è infatti di due stelle se si considera l’intera vita di questi replicanti (in termini tecnici si parla di rating overall).
Il peso dei big e delle banche
La ragione principale è l’elevata concentrazione dell’indice di riferimento, il Ftse Mib, che comprende i 40 titoli a maggior capitalizzazione della piazza milanese: i primi cinque rappresentano circa la metà del totale e i finanziari coprono il 35% del portafoglio. Eni, Enel, Intesa Sanpaolo e Unicredit pesano per circa il 10% ciascuno. Segue Assicurazioni Generali con oltre il 5%.
Secondo gli analisti di Morningstar, è difficile per un Etf di questo tipo fare meglio della categoria, che comprende anche gli strumenti attivi, su un intero ciclo di mercato, proprio a causa della sovraesposizione alle società a larga capitalizzazione e al settore finanziario. A differenza di un replicante, infatti, un gestore ha maggiore flessibilità di ricercare opportunità tra le aziende a medio-piccola capitalizzazione, che sono fuori dal Ftse Mib. Queste ultime sono state protagoniste di un forte rally l’anno scorso, dopo il lancio dei Piani individuali di risparmio (Pir), i “contenitori fiscali” finalizzati proprio ad incentivare l’investimento in società mid e small cap.
Commissioni competitive
Il fatto che gli Etf siano decisamente meno costosi dei fondi attivi non è sufficiente a garantirgli un vantaggio. E’ per questa ragione che gli unici due Etf al momento coperti dalla ricerca Morningstar (iShares Ftse Mib e Lyxor Ftse Mib) hanno un Analyst rating neutrale e non positivo (report di Kenneth Lamont del 25 giugno 2018).
L’economia italiana è troppo debole
“Le large cap italiane non si sono ancora riprese completamente dalla crisi”, spiega Lamont. “A differenza di altri indici europei come il Dax tedesco, il Cac francese o il Ftse 100 inglese, il Ftse Mib è al di sotto dei livelli del 2007. Le cause principali sono la debolezza economica, con conseguenti alti livelli di disoccupazione e di debito pubblico, e le difficoltà del sistema bancario. Secondo il Fondo monetario internazionale, l’Italia dovrà attendere un altro decennio per lasciarsi definitivamente alle spalle l’attuale situazione macro”.
Pochi emergenti
Un’altra peculiarità delle blue chip italiane, rispetto a quelle europee, è la scarsa esposizione ai mercati emergenti, in particolare alla Cina, che hanno alti tassi di crescita economica. “Eni, Enel, Intesa Sanpaolo e Unicredit generano circa i due terzi dei ricavi nel Vecchio continente e meno del 15% in Asia”, conclude Lamont.