Le critiche al PIL come misura dell’effettivo benessere di una società hanno radici molto lontane. Il primo a trattare il tema fu nel 1968 l’allora candidato alla presidenza USA Bob Kennedy, che notò come «il PIL misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta». Nei decenni successivi, i governi di una piccola nazione himalayana, il Bhutan, hanno poi provato ad adottare politiche intorno a questo tema affiancando all’obiettivo della crescita del Prodotto Interno Lordo la cosiddetta «Felicità Interna Lorda», ossia un indicatore per calcolare la soddisfazione generale dei cittadini. Per quanto rimanga probabilmente ancora il modo più semplice e immediato per misurare lo sviluppo di una nazione, il più celebre e diffuso degli indicatori macro non è sicuramente in grado di cogliere molti degli aspetti che determinano la vera qualità della vita degli individui. Da anni, economisti e governi stanno quindi provando giustamente a studiare misure e politiche alternative a quelle «classiche».
Di recente, è stato il turno della Nuova Zelanda. La premier Jacinda Ardern ha infatti lanciato la prima «manovra finanziaria del benessere», una serie di misure di politica economica volte a migliorare il grado di felicità dei suoi connazionali. E’ curioso che a impegnarsi in tal senso sia stato il governo neozelandese. La nazione oceanica è infatti tra le più ricche al mondo, ha un tasso di disoccupazione del 4,3% (oggi vicino ai minimi storici), ha visto redditi in crescita di oltre il 30% nell’ultimo decennio e figura sempre tra i primi posti nel World Happiness Report. La classifica stilata dalle Nazioni Unite sul grado di felicità delle nazioni tiene in considerazione aspetti quali supporto sociale, aspettativa di vita, livello di libertà e corruzione, e la Nuova Zelanda si classifica tra i primi posti al mondo da ormai un decennio. Eppure, le azioni del governo mettono in luce i difetti di queste misurazioni, notando ad esempio come il tasso di persone affette da problemi di ansia o depressione sia tra i più alti nei paesi OCSE oppure come il tasso di suicidi sia relativamente elevato. Un confronto tra paesi relativo a questi ultimi due indicatori, peraltro, mette in evidenza come in effetti il livello di reddito e la
crescita del PIL, oltre una certa soglia, abbiano probabilmente un’influenza limitata sul benessere degli individui. In Italia, ad esempio, nonostante difficoltà economiche e bassa crescita, certe problematiche molto gravi sono avvertite fortunatamente meno che in un paese come gli Stati Uniti, dove i livelli di crescita sono stati invece ottimi.
Quanto un governo possa effettivamente fare per risolvere questi problemi è difficile dirlo, ma è in ogni caso possibile che l’esempio neozelandese sia per certi versi pionieristico. Negli anni a venire non è da escludere che nel dibattito pubblico il PIL lasci almeno in parte spazio alla «Felicità Interna Lorda» anche in altri paesi occidentali. In qualche modo, questo discorso può infine essere allargato anche agli aspetti che riguardano più da vicino ALFA SCF e il mondo degli investimenti finanziari. Molto spesso, si tende a dare un peso elevato – o addirittura eccessivo – al «PIL», inteso come tassi di rendimento e performance (passate o attese) dei portafogli. Sarebbe invece preferibile concentrarsi maggiormente sull’impostazione a monte di una corretta pianificazione finanziaria, che metta il proprio patrimonio al servizio degli obiettivi di vita con un processo in grado di dare priorità all’effettiva serenità dell’investitore rispetto alla mera ricerca di rendimento.