Che fare in caso di dietrofront dei mercati? Quali gli strumenti per proteggersi dai cali improvvisi? Sapere ciò che accadrà nei prossimi mesi è impossibile, le variabili in gioco sono pressoché infinite. Quindi?
Qualcosa si può fare. Ad esempio chi investe con un approccio attivo e flessibile non ha certamente le carte segnate, tuttavia utilizza un approccio “statistico-matematico” per aumentare nel tempo le probabilità di stare dalla parte giusta.
Per dirla come uno dei più grandi gestori di tutti i tempi, Peter Lynch, “sui mercati, se sei bravo, hai ragione sei volte su dieci. E non ti illudere di poter avere ragione nove volte su dieci”. Chiaro no? Sbagliare fa parte delle regole del gioco e non esiste nessuna strategia che funzioni sem pre (e comunque) a prescindere dall’andamento dei mercati. Altrettanto va detto a proposito dei vari strumenti finanziari.
Resta il fatto che l’analisi statistica del comportamento dei mercati nel passato può fornire qualche spunto in più per capire cosa monitorare in situazioni di “risk off” e quali asset considerare “safe haven” (rifugio) più di altri.
L’approccio probabilistico permette anche di sviluppare delle strategie che ottimizza i rendimenti, riducendo i rischi. Inutile girarci intorno: dal punto di vista tecnico il quadro attuale resta pericoloso in generale, a parte alcuni settori (per esempio il lusso) e titoli che mostrano maggiore forza di altri.
Dopo aver assistito alla peggiore disfatta di Wall Street negli ultimi due anni, se la forte correzione non rientrerà velocemente, il verdetto sarà quasi scontato: preparatevi a una fase Orso. Diciamo che se entro fine febbraio, soprattutto per l’azionario Usa, non ci si allontanerà di almeno il 5% dai minimi raggiunti la scorsa settimana, crescerà significativamente la probabilità di assistere ad un’inversione del ciclo rialzista.
Nel mondo degli investimenti miliardi e miliardi di dollari sono investiti in base a modelli che tengono conto sia dell’andamento dei prezzi che della volatilità (ad es. i modelli cosiddetti “risk parity”) e la forte fiammata che ha avuto questo indicatore potrebbe alimentare una crescente diminuzione dell’esposizione azionaria a favore di asset considerate meno rischiose.
Dove si può trovare rifugio in mezzo alla tempesta?
Se si guarda dal punto di vista empirico, nell’ultima settimana gli asset che si sono comportati meglio sembrano confermare alcune “vecchie” leggi del passato. Quando i mercati scendono, i posti relativamente più sicuri dove ripararsi sono la liquidità (ridurre l’esposizione è la strategia più semplice anche se meno amata da molti investitori), i bond governativi soprattutto sul medio-lungo (si consideri che la Bank of Japan ha mostrato più volte di essere disposta a tutto) e in caso di possibile rialzo degli interessi vanno bene i titoli inflation linked. L’oro e i metalli preziosi teoricamente andrebbero bene, ma negli ultimi anni la finanziarizzazione di questa asset class (dai certificati agli Etf senza sottostante fisico) ne ha minato un po’ il ruolo.
Nelle scorse sedute tra gli ETF che si sono comportati meglio (escludendo prodotti a leva, short o legati al Vix) troviamo: nell’obbligazionario il DB x-trackers Japan Government Bond (+2,88%), l’UBS Barclays Tips 1-10 (+1,24%), l’Amundi ETF Floating Rate USD Corporate (+1,48%) che hanno beneficiato anche dell’effetto cambio, mentre l’oro non ha fatto follie ma è rimasto sui suoi livelli. E anche le materie prime non hanno dato segni di surriscaldamento, anzi.
Secondo alcuni strategist il fatto che oro e materie prime non abbiano visto salire le quotazioni (e nemmeno si sono visti forti flussi) dimostrerebbe che non siamo ancora in fase “risk off”. Sarà molto importante vedere i dati sull’inflazione negli Stati Uniti per capire se i tassi d’interesse possono veramente tornare a salire più velocemente del previsto. E questo potrebbe essere un ulteriore dato molto atteso insieme all’allontanamento dai minimi di Wall Street di almeno il 5-6% nell’osservazione di fine mese di febbraio.