Quattro regole per investire nel 2019

La prima regola
I mercati non vanno sempre su. Il 2018 ce lo ha ricordato con molti episodi, tanto in Piazza Affari, quanto a Wall Street e nelle aree emergenti: le tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina, l’incertezza politica in Italia, il caos dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (Brexit, che è anche attualità di questi giorni), la fine del rally dei titoli tecnologici a ottobre. Dal punto di vista degli investitori, questo significa che i guadagni non sono illimitati. La buona notizia è che la volatilità genera opportunità; quella cattiva che ci sono dei rischi. Ma sappiamo che i “pasti gratuiti” in Borsa non esistono.

Seconda regola
Una sana diversificazione permette di cogliere le opportunità sui mercati più attraenti. Prendiamo ad esempio le aree emergenti. “Nel 2018, gli investitori sono stati fortemente penalizzati”, si legge in un rapporto di Mark Preskett e Brad Bugg, gestori di portafoglio di Morningstar investment management (MIM). “Ma pensiamo che il sell-off non sia stato giustificato dai fondamentali. Riteniamo interessanti sia le azioni sia le obbligazioni di questi paesi e siamo convinti che il sentiment negativo sia stato generato soprattutto dalla paura e dalla retorica sulle guerre commerciali”.

Terza regola
E’ meglio non dormire sugli allori. L’incertezza è ancora protagonista e le ragioni sono molte tra cui le elezioni politiche europee a maggio, il rischio Italia e Brexit, solo per restare nel Vecchio continente. Il Belpaese ha evitato la procedura di infrazione per la legge di bilancio, rivedendo i target di deficit e gli obiettivi di crescita economica in modo più realistico ma, secondo molti osservatori, entrambi continuano ad essere difficili da raggiungere. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, il 29 marzo è fissata l’uscita dall’Unione, anche se il caos delle ultime settimane del 2018 e dell’inizio di quest’anno rendono tutto più imprevedibile. La situazione rappresenta una delle principali minacce per l’economia inglese. Circa il 70% dei profitti dei titoli che compongono l’indice della Borsa di Londra (Ftse 100) vengono dall’estero. Per il momento le multinazionali britanniche hanno dimostrato di resistere, ma è probabile che il quadro dei rapporti commerciali rimanga poco chiaro ancora a lungo. Un’opportunità o un pericolo?

Quarta regola
Vendere i titoli troppo cari può far bene al portafoglio. Una serie di indicatori economici mostrano che la crescita della congiuntura a livello globale sta diventando più moderata. Per le imprese, soprattutto quelle statunitensi, sarà difficile mantenere gli alti margini di profitto degli ultimi anni o addirittura incrementarli. “In alcuni casi potrebbe accadere, ma per la maggior parte delle aziende è probabile un ripiegamento”, spiegano i gestori di MIM. “Le azioni americane sono sopravvalutate e uscire dai titoli cari rappresenta una buona disciplina sui mercati”. Nel reddito fisso, il quadro è differente. I tassi di interesse continueranno a salire oltreoceano e gli stimoli monetari a ridursi nell’Eurozona. Di conseguenza, si prevede un aumento dei rendimenti (yield) obbligazionari, che tenderanno a raggiungere livelli più “normali”, dopo essere stati eccezionalmente bassi per un lungo periodo. “Uscire dai bond per paura, non è secondo noi la scelta migliore”, dicono Preskett e Bugg. “I i titoli di miglior qualità continuano a rappresentare un fattore di diversificazione dal rischio azionario”. E’ meglio, però, mitigare le eventuali perdite derivanti dall’innalzamento dei saggi di riferimento, ad esempio, preferendo scadenze brevi e emissioni con elevato rating.