Recessione: per quest’anno solo prove tecniche

C’è stato un lungo periodo, negli anni Novanta, in cui a Milano, per reagire a un aumento degli incidenti stradali, si sono installati molti nuovi semafori. La reazione deplorevole di molti automobilisti, in particolare di notte, è stata quella di iniziare a passare col rosso, anche perché Milano è tra le città del mondo con la minore distanza tra un semaforo e l’altro. La pratica era a un certo punto diventata così diffusa che chi voleva continuare a rispettare il codice della strada e a fermarsi con il rosso metteva a repentaglio la sicurezza propria e altrui, perché rischiava seriamente di essere tamponato.

Il problema è stato gradualmente risolto nel tempo con una maggiore azione di controllo e, vogliamo sperare, con un ingentilimento dei costumi. Resta però la considerazione che non è così raro che norme introdotte per risolvere un problema specifico (la pericolosità di un singolo incrocio stradale) creino per sovraccarico un danno sistemico non previsto (un calo generalizzato di compliance, nel caso in questione).

La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni e staremo a vedere se l’ampio insieme di regole e leggi messe insieme in questi anni per mitigare gli effetti della prossima recessione riusciranno davvero a prevenirne il dilagare o se funzioneranno invece, paradossalmente, da acceleratori della crisi. Un incendio può essere facilmente contenuto e domato se il focolaio è circondato di materiale ignifugo, ma se intorno ci sono materiali infiammabili, quelli che i tecnici chiamano appunto acceleratori, le conseguenze possono diventare temibili.

L’economia globale è in questo momento in un punto morto ed è a rischio di recessione. Negli Stati Uniti, già in rallentamento da tre mesi, è la stessa Casa Bianca a dire che, se la chiusura di parte della pubblica amministrazione per la mancata inclusione dei fondi per il muro alla frontiera col Messico si protrarrà, la crescita del primo trimestre potrebbe scendere a zero. L’Europa è a segno negativo dall’autunno. La Cina dichiara seraficamente i suoi soliti numeri perfetti, ma le vendite di auto, telefoni e case sono in calo e mal si conciliano con le statistiche ufficiali e con l’affanno con cui viene immessa nel sistema un’enorme massa di nuova liquidità.

Circolano due letture dello stallo in corso. La prima, più diffusa e superficiale, è che si tratta di una serie di crisi idiosincratiche, non legate tra loro, che per coincidenza stanno capitando nello stesso momento. Ecco quindi citati i soliti sospetti, Brexit, la chiusura della pubblica amministrazione americana, il contenzioso commerciale tra Cina e Stati Uniti, la corsa a proibire il diesel in tutte le città tedesche (e non solo) e la conseguente necessità di accelerare la riconversione del settore. Tanti problemi locali, insomma, destinati molto probabilmente a essere tutti risolti nel corso dei prossimi mesi.

La seconda lettura, che dà ad esempio Richard Koo, è più strutturale e parte dalla considerazione che si cresce poco perché si investe poco e si investe poco perché il ritorno sugli investimenti, in particolare in Occidente, è basso. Le banche centrali non riescono a uscire dalla logica del sostegno alla crescita bassa attraverso le bolle, che però non possono durare in eterno. Se si vuole uscire da questa logica bisogna mettere mano alla politica fiscale, ma se lo si fa poco e male la crescita rimarrà esangue.

Come che sia, una recessione vera, per quest’anno, sembra da escludere. Il perno del sistema, gli Stati Uniti, è ancora solido e una volta che il perno è solido le eventuali difficoltà degli altri non diventano sistemiche. Le crisi che devono preoccupare seriamente i mercati sono quelle che coinvolgono anche l’America, ma non siamo a questo punto. Anzi, il giorno in cui gli statali americani torneranno al lavoro e riceveranno gli arretrati di stipendio ci sarà un’impennata dei consumi. Se questa coinciderà con un rinvio di Brexit, con un compromesso sul commercio con la Cina e con un ritorno alla normalità per l’industria dell’auto tedesca ci sarà una ripresa globale di fiducia e un buon rialzo azionario.

Nel 2020 il rallentamento americano sarà più marcato, ma non sarà lungo, a quanto si può vedere oggi. Anche per l’anno prossimo è dunque difficile ipotizzare una crisi sistemica. Per il 2021 le cose si complicheranno. Tutti i candidati democratici alla Casa Bianca intendono aumentare di molto le tasse e le spese. Nella maggioranza di loro, inoltre, sembra prevalere un deciso atteggiamento antibusiness. Se così sarà, i mercati reagiranno con una maggiore volatilità, ma è presto per capire se questa rifletterà rischi reali di recessione.

Quello che sappiamo fin d’ora è che sarà decisivo che la recessione, che prima o poi ci sarà comunque, non arrivi a una profondità tale da fare entrare in azione i numerosi acceleratori di crisi di cui ci siamo circondati.

Pensiamo ad esempio al Value at Risk, il sistema di gestione del rischio adottato ormai universalmente, che funziona bene in tempi normali ma che crea circoli viziosi di volatilità e ribassi nei momenti di crisi.

Pensiamo anche alle regole europee, tutte procicliche, che impongono austerità nei momenti in cui ci vorrebbero misure espansive. Pensiamo alle regole sui bail-in, che in momenti di paura potrebbero facilmente creare fughe di depositi e crisi bancarie a catena. O all’idea di subordinare gli aiuti della Bce alle banche dei paesi in difficoltà al rating di agenzie non europee, che possono così decidere dei destini di un continente non loro e aggiungere imprevedibilità nel momento meno indicato.

Per fortuna si tratta di problemi per il dopodomani, non per l’oggi e non per il domani. Nel breve i mercati appaiono in perfetto equilibrio, ben prezzati e in ritrovata armonia con le banche centrali. Si vede il bicchiere mezzo vuoto e si vede quello mezzo pieno, una circostanza non così frequente.

Da qui in avanti e per qualche tempo si reagirà al flusso di notizie con compostezza, senza le forzature che i posizionamenti sbilanciati generalmente creano. Restare investiti, in bond e in azioni, è sensato e legittimo. Ma è altrettanto sensato, avvicinandosi lentamente ma inesorabilmente tempi più impegnativi, vendere su rialzo più di quanto non si compri su ribasso, spostando gradualmente il portafoglio su temi più difensivi.