Viviamo tempi eccezionali. E non è soltanto un comodo modo di dire: a ieri, il Dow Jones Industrial è reduce dalla settima seduta negativa consecutiva. Una prova di debolezza che non ha pregiudicato la struttura portante del rialzo, ma che non si registrava da più di un anno: risale infatti a marzo 2017 l’ultimo episodio analogo. Per la cronaca, il Dow avrebbe temporaneamente spezzato la sequenza negativa dopo un’ottava seduta con il segno meno, prima di soccombere nuovamente alle vendite.
Quattro settimane, dopo, il minimo dal quale la borsa americana ripartì questa volta definitivamente.
Ma, sfacciatamente, poco lontano da Wall Street il sentiment è ben diverso. Grazie alla spinta delle solite megacompagnie tecnologiche, il Composite è salito ieri ad un nuovo massimo storico. Sembra di vedere la diatriba di 18 anni fa, quando la Old Economy era derisa e sbeffeggiata, da parte di coloro che prefiguravano guadagni eccezionali grazie al paradigma della New Economy.
Un Composite che sale ai massimi storici ormai non fa più notizia. Men che meno un indice tecnologico, per dire, sui massimi mensili: figurarsi, ne contiamo a cadenza periodica…
La questione, però, è che le due configurazioni sono evidentemente in antitesi: mai, nel recente passato, abbiamo sperimentato un Nasdaq sui massimi perlomeno mensili, a fronte di un Dow Jones in flessione per almeno sette sedute di fila.
Anzi, a dirla tutta, questa combinazione non è stati registrata mai: perlomeno dal 1971 – quando nasce il Nasdaq Composite – in poi.
Si capisce bene che viviamo un’esperienza senza precedenti. Una anomalia, sul piano storico, e razionale: uno dei due indici “sta mentendo”, per così dire. Vale a dire, o il Nasdaq racconta una vitalità estremamente vulnerabile, o il Dow Jones sta manifestando una debolezza sospetta, e destinata presto ad essere ribaltata.