La recente nomina di Mike Pompeo, ex Direttore della CIA, a capo della diplomazia americana si è realizzata con una tempistica congeniale ai recenti sviluppi della politica estera Usa, quindi in concomitanza con l’annuncio del sempre più probabile incontro tra il Presidente Trump e il dittatore nordcoreano.
Le posizioni dichiaratamente avverse al regime di Teheran di Pompeo son ben note, e mancano solo due mesi al termine ultimo per prendere una decisione sulle sanzioni contro L’Iran. Sanzioni che restano appese ad un ultimatum dello scorso mese di gennaio, nel quale gli “alleati americani” avevano chiesto all’UE di chiarire la propria posizione con l’Iran per supportare una strategia comune di contenimento della destabilizzazione del Medio Oriente.
Ma il buio totale nella quale versa la politica estera europea, ambigua e inconcludente, ha visto Bruxelles perdere l’occasione di anteporre una coraggiosa posizione contro la proliferazione nucleare, per correre a nascondersi dietro a una posizione eccessivamente conciliante verso le continue violazioni iraniane dell’accordo sul nucleare. Per non parlare del richiamo al rispetto dei diritti civili di manifestazione popolare al quale il regime iraniano resta sordo, anche per la tollerante benevolenza dell’Alta rappresentanza per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’UE (forse dimentica dei principi fondanti della bandiera a 12 stelle).
Vanificati così anche i timidi tentativi di un compromesso diplomatico tentato dall’asse franco – tedesco, ora la coppia Trump-Pompeo potrebbe ottenere un buon accordo per smantellare parte delle 60 testate nucleari nordcoreane e, al contempo, costringere l’Iran a metter fine al “bluff”, per non incorrere nel pieno ripristino delle sanzioni che minerebbero un regime clericale già in bilico proprio a metà maggio.
Venire a patti sulla Nord Corea, mantenendo lo status di Paese cuscinetto tanto caro ai cinesi, ma ottenendo impegni su un vero e proprio Trattato di Pace che manca da più di 70 anni tra le Coree permetterebbe a Trump poi di avere probabilmente in cambio una contropartita con la Cina su acciaio e alluminio.
Riassumendo: i dazi servono per far capire all’UE che è finito il tempo di difendere le proprie merci e il surplus tedesco da un dialogo franco e aperto con gli Usa, che mettono sul tavolo la richiesta di una copertura piena delle spese Nato e una strategia di politica estera che vada ben oltre l’accordo sul clima ma guardi al cuore di un problema mondiale di salvaguardia dalla minaccia nucleare decisamente più pressante, dopo che il Dossier Isis è stato “declassato”.
Così l’UE che si cullava nella crescita “felice” della relativa debolezza dell’euro, si trova con la Brexit in un vicolo cieco e le relazioni con gli Usa in netto peggioramento. Fatto che mina le relazioni commerciali su due fronti importanti verso il mercato USA e inglese. In più, con il mercato russo “congelato” è evidente che il traino del Pil del Vecchio Continente rappresentato dall’export, soprattutto per la Germania, potrebbe frenare inaspettatamente.
E se l’Unione Europea frena, per l’Italia non resta che mettere la “ridotta” per affrontare una salita impervia di uscita da un quadro politico incerto ed un futuro ancora più incerto per un export che aveva brillato nel 2017 su più fronti e con grande speranza di un trend in rafforzamento.