La cortina fumogena che da tempo accompagna i provvedimenti ventilati dal Governo italiano, le aspre discussioni che seguono, e le puntuali marce indietro rischiano di distogliere l’attenzione generale dalla reale questione sul tavolo: il rallentamento sempre più evidente della congiuntura economica nel nostro Paese. Si fa un gran parlare di opportunità di politiche di distribuzione del reddito (in un’economia ove peraltro la sperequazione risulta fra le più contenute del mondo occidentale…) ma ci si sta dimenticando che prima bisognerebbe produrlo, il reddito.
Che il tasso di crescita del 2017 (+1.5%), il più consistente degli ultimi sette anni, fosse destinato a non essere ripetuto, era evidente sin dallo scorso autunno, quando l’indice delle “sorprese economiche” si inabissava mestamente, segnalando un confronto sistematicamente deludente fra aspettative macro e dati effettivi. Questo dato anticipa da tempo la dinamica degli indicatori economici; che infatti nei trimestri più recenti hanno virato verso il basso. La crescita reale del PIL, difatti, manifesta una sequenza declinante: +0.5% nel Q1 2017, +0.42% nel Q2, +0.34% nel Q3, +0.32% nel Q4, +0.27% nel Q1 2018 e +0.16% nel Q2. Realisticamente, già questa traiettoria indurrebbe ad aspettarsi una stagnazione nel corrente quarto, e una recessione nell’ultimo trimestre di quest’anno.
Il PMI manifatturiero rivela una realtà più puntuale, grazie alla frequenza mensile di rilascio. Sconsolante il dato reso noto qualche giorno fa: il barometro dell’attività manifatturiera ha letteralmente flirtato con l’asticella dell’equilibrio, attestandosi ad agosto a 50.1 punti. Si tratta del dato più contenuto degli ultimi due anni.
Evidentemente i responsabili degli acquisti delle aziende manifatturiere tricolori non sono così persuasi dalla politica industriale del Governo, e dalle prospettive del ciclo economico globale. Questa sensazione è avallata dall’esame dell’indice Istat della fiducia delle imprese: letteralmente in caduta libera all’indomani delle elezioni politiche di marzo.
Tornando al PMI manifatturiero, la sistematicità del ridimensionamento dell’indice, sceso in sei degli ultimi sette mesi, è seconda per gravità soltanto all’entità della flessione: quasi 9 punti, in appunto sette mesi.
Andando a ritroso, nel recente passato si scorgono soltanto due episodi simili. In ambo i casi l’emorragia di fiducia proseguì nei mesi successivi; ma ci basterà qui annotare le date in questione: ottobre 2008 e agosto 2011.
La mente corre a momenti piuttosto turbolenti per le finanze pubbliche e per l’economia del nostro paese. In quali condizioni versava il PIL italiano, quando il PMI manifatturiero faceva registrare una contrazione di 9 punti in sette mesi? La figura sottostante fornisce la risposta; e non è affatto piacevole.
In ambo le occasioni l’economia italiana era già in recessione, in termini di variazione trimestrale del prodotto interno lordo al netto dell’inflazione. Stando così le cose, il prossimo autunno potrebbe ufficializzare una realtà indigesta ma, a questo punto, inevitabile.
Resta da stabilire come reagirà in simili circostanze il mercato azionario: Piazza Affari ha e in quale misura scontato l’approssimarsi di una nuova recessione?