Non è più nemmeno una grande novità ma da Carige ora si è dimesso pure il maggior azionista, l’imprenditore Vittorio Malacalza, in forte dissidio con l’amministratore delegato Paolo Fiorentino in un consiglio di amministrazioni che nelle ultime settimane ha visto le dimissioni del presidente Giuseppe Tesauro e di altri consiglieri.
Non c’è pace sotto la Lanterna e il futuro di questa banca osservata speciale della BCE e che negli ultimi quattro anni ha raccolto mezzi freschi dagli azionisti per oltre due miliardi di euro e in Borsa ne capitalizza meno di 500 appare sempre più legato a qualche operazione di aggregazione per diventare la succursale ligure di qualche gruppo bancario del Nord a caccia dei risparmi dei pensionati liguri.
Cinque anni fa il titolo Carige in Borsa valeva fra i 6 e gli 8 euro, oggi meno di 0,09.
Cento euro investiti cinque anni fa sull’indice bancario tricolore sarebbero diventate 115; su Carige meno di 2 euro.
L’imprenditore piacentino diventato ricco con l’acciaio e basato a Genova Vittorio Malacalza era entrato nel 2015 rilevando una quota dalla Fondazione Carige e doveva essere il cavaliere bianco capace di imprimere una svolta alla banca genovese affossata dall’ex presidente Giovanni Berneschi. Precedentemente era venuto alla ribalta di Piazza Affari nonostante una ricchezza stimata in 1000 milioni di euro dopo che aveva messo a segno in pochi anni una forte plusvalenza in Pirelli/Camfin di 300 milioni di euro ed essersi fatto la fama di Re Mida a Piazza Affari con un carattere non facile dopo diversi scontri molto forti con Marco Tronchetti Provera.
Se da quella avventura finanziaria Malacalza ne è uscito bene su Carige quasi in una sorta della legge del contrappasso tutto sta andando malissimo se si considera che dal 2014 ha impegnato in questa operazione circa 380 milioni e a oggi la minusvalenza è di circa 290 milioni di euro. In questi quattro anni sono cambiati diversi presidenti e amministratori delegati come piani industriali in Carige con scontri anche furibondi e Malacalza con il 20% circa del capitale non è stato certo un azionista dormiente.
L’ amministratore delegato in carica, Paolo Fiorentino, è stato nominato poco più di un anno fa con l’appoggio di Vittorio Malacalza dopo la defenestrazione di Guido Bastianini (e prima di Piero Montani) voluto dallo stesso imprenditore piacentino e nelle ultime settimane il rapporto di fiducia anche con l’ultimo amministratore è saltato. Per un decisionista come Malacalza che ha messo un sacco di grano in Carige questo Fiorentino probabilmente vuole fare troppo di testa sua seppure dice di vantare un buon rapporto con i vigilantes della BCE.
Incalcolabili in pochi minuti poi anche i consiglieri di amministrazione che sono cambiati in Carige negli ultimi anni con Malacalza; probabilmente la formazione del Milan A.C. è stata negli ultimi anni più stabile.
La banca ha visto in questi anni ridurre di molto i ricavi e sta cedendo partecipazioni, immobili e tagliando personale e persino il sistema informativo con 134 dipendenti è stato ceduto all’IBM in cambio di una decina di milioni di euro.
Nel mondo futuro secondo gli esperti le banche che resisteranno saranno sempre più tech e attente alla gestione del big data ma a Genova (e non solo se si guardano a molte cessioni fatte da banche italiane a caccia di liquidità) si percorre la strada opposta.
A settembre con la nuova assemblea ci sarà una nuova conta e si vedrà se Malacalza con il 20% resterà il maggior azionista o verrà scalzato dai nuovi azionisti rampanti come il finanziere Raffaele Mincione (oggi accreditato di un 5,4%) con altri azionisti alleati nel passato di Malacalza (come il secondo socio Vincenzo Volpi) che passeranno con il “nemico”.
Intanto l’amministratore di Carige Paolo Fiorentino sulle pagine de “Il Sole 24 Ore” fa sapere che va avanti con il piano concordato con la BCE e la sua permanenza dipenderà dalla compagine azionaria che emergerà con la prossima assemblea. AAA ad offresi.
Al momento sul titolo Carige nessuno cerca di inserirsi nel possibile cambio di fronte nonostante i proclami da raider del finanziere Mincione di salire di quota in modo sensibile perché su Carige tante volpi in questi anni si sono viste maciullate le zampe.
E sempre più sullo sfondo a dispetto di Malacalza che vede questo scenario come il peggiore possibile si intravede il percorso di aggregazione di Carige in un’altra grande banca come dépendance ligure.
Alla BCE di questa dinasty ligure con lotte di potere continue intorno a una banca sempre più piccola rispetto ai fasti del passano ne hanno probabilmente piene le scatole e caldeggiano sempre più il matrimonio con un gruppo bancario nazionale o internazionale.
Inutile dire che questo scenario è quello che piace meno a Malacalza perché prima ci si sposa minori sono le probabilità di riuscire a vendere cara la pelle vista la distanza siderale dei prezzi di carico delle azioni di Carige nella holding di famiglia, Malacalza Investimenti srl.
Vittorio Malacalza non è tipo da non vendere cara la pelle ma da questa partita ne uscirà probabilmente “pesto alla ligure”.
Quando era entrato nel capitale di Carige aveva dichiarato come “dopo attente riflessioni, abbiamo ritenuto che in questa fase della vita dell’istituto e della Fondazione non potesse mancare l’impegno di una realtà imprenditoriale genovese che crede nelle prospettive di sviluppo dell’economia locale e italiana”.
Dall’economia ligure italiana qualche segno di reazione è arrivato ma i conti con l’ingombrante passato di Carige, le pressioni regolatorie della BCE unite a tanti passi falsi dei vertici della banca genovese hanno contribuito a creare una situazione sempre più difficile.
Diventare azionista di maggioranza relativa di una banca zeppa di casini rispetto all’esperienza precedente di azionista di minoranza di un’azienda di pneumatici si è rivelato un passo azzardato che meritava forse qualche riflessione in più e advisor migliori.