Una delle antiche dispute in cui si cimentano gli operatori quando non hanno nulla di meglio da fare, è se sia meglio il day trading o il trading di posizione. Non c’è dubbio, argomentano i primi: operare nell’intraday riduce i rischi e permette di mettere da parte piccoli ma costanti guadagni. «Quando mai», ribattono i secondi, i guadagni si fanno nel lungo periodo, avendo la pazienza di sopportare i sobbalzi che l’overnight tipicamente produce. La questione probabilmente è mal posta. Il confronto è fra day trading e… night trading: fra l’operatività giornaliera, e quella notturna.
Naturalmente nessuno suggerisce di operare quando il buio suggerisce ben altre e più confortanti attività; a meno che si abbiano dei bimbi da accudire e nutrire ogni tre ore. Di fatto però si possono scindere le 24 ore in due sessioni: Day Session e Night Session. La prima abbraccia la dinamica di mercato da apertura a chiusura; la seconda, dalla chiusura all’apertura della seduta successiva.
Prendendo come punto di partenza quell’evento epocale che è stato il famoso pronunciamento di Draghi di luglio 2012 («Whatever it takes…»), si rileva che l’indice S&P 500 ha prodotto i 2/3 della performance complessiva durante la sessione diurna. In altre parole, chi avesse sistematicamente comprato in chiusura, liquidando l’indice all’apertura del giorno successivo, avrebbe conseguito un profitto pari alla metà, rispetto a quello conseguito comprando sistematicamente in apertura, e liquidando alla chiusura immediatamente successiva.
E a Piazza Affari?
Le conclusioni non potrebbero risultare più speculari. Dal 25 luglio 2012 ad oggi, chi ha operato nell’intraday – in ogni caso nella modalità long only – comprando in apertura e vendendo in chiusura, avrebbe subìto una perdita cumulata superiore al 26%. Al contrario, chi avesse avuto l’ardire di comprare in chiusura, e liquidare sistematicamente all’apertura successiva, avrebbe quasi raddoppiato il capitale. In Italia i guadagni si fanno di notte. E il bello è che non c’è nulla di illegale…