I mercati finanziari sono governati da meccanismi raramente visibili a occhio nudo, talvolta difficili da scovare anche all’occhio esperto.
Prendiamo l’euro. E’ cresciuto per tutto lo scorso anno e sceso soltanto nell’ultimo mese e mezzo. Eppure di motivi per salire ne aveva ben pochi: Trump promette(va) un dollaro forte, la Fed sta aumentando in continuazione i tassi di interesse ufficiali, con ogni evidenza fra rendimenti americani e rendimenti europei non c’è storia, specie sulla scadenze lunghe.
Ma c’è qualcosa che sfugge. Fosse semplice, saremmo tutti ricchi…
Succede che i fondi speculativi, nonostante le turbolenze politiche in Italia, non abbiano ancora gettato la spugna. In prevalenza si mantengono bullish sulla divisa comune europea. E poi succede che talvolta ci si dimentica che le variabili macro agiscano in termini relativi, non assoluti.
Intuitivamente, il rapporto fra euro e dollaro dovrebbe essere sensibile alla minore o maggiore determinazione dei banchieri centrali delle due sponde dell’Atlantico: se la BCE “stampa moneta” per comprare e ritirare temporaneamente titoli dal mercato, mentre la Fed fa il contrario – riduce i dollari in circolazione contraendo il proprio bilancio – la maggiore disponibilità di euro e minore disponibilità di biglietto verde, dovrebbero affossare l’Eur/Usd. Così non è stato negli ultimi diciotto mesi, eccezion fatta appunto per il periodo più recente.
A cura di Gaetano Evangelista – Ad Age italia